Tradimenti, accuse e oltraggi
Così i salentini si insultavano nel Medioevo

Tradimenti, accuse e oltraggi Così i salentini si insultavano nel Medioevo
di Nicola DE PAULIS
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Martedì 18 Luglio 2017, 14:08 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 00:23
Hanno una storia le ingiurie, le minacce, le frasi scurrili, contenute nel lessico del dialetto salentino?
E sono cambiate nel tempo parole che, ieri come oggi, possono offendere profondamente un individuo?
Insomma come si litigava, come ci si offendeva nel Salento secoli fa, fra il tardo medioevo e gli albori dell’età moderna, all’incirca cinquecento anni fa? E soprattutto come si reagiva in una società medioevale in cui vigeva fra l’altro il divieto di bestemmia (Codice Maria D’Enghein, 1473), e come sanzionava questi comportamenti?
A questi gustosi quesiti può fornire una prima risposta un recentissimo e dettagliato studio pubblicato sulla rivista “Medioevo Letterario d’Italia - Rivista internazionale di filologia linguistica e letteratura” (F.Serra Editore, Pisa-Roma). Lo studio s’intitola “Ingiurie e minacce in un Registro Giudiziario Salentino del Tardo Quattrocento”, di Vito Luigi Castrignanò, docente di materie letterarie e dottore di ricerca in “Linguistica italiana” all’Università del Salento, già curatore di un altro testo in volgare medioevale salentino, il “Libretto de Pestilencia” di cui l’unica copia superstite è stata ritrovata a Parigi.
Il volume, di Nicolò Ingegne, medico di corte di Giovanni Orsini del Balzo, in cui suggerisce al suo signore i rimedi per difendersi dalla peste, forse faceva parte della biblioteca di un Orsini e fu portato in Francia durante la discesa di Carlo VIII in Italia.
All’interno delle testimonianze scritte, d’epoca medioevale, non è raro, come scrive lo studioso, rinvenire forme scurrili, invettive, insulti che sono stati riportati nei testi giudiziari e notarli del tempo, ma anche nei trattati polemici, nella letteratura didattico moraleggiante, e anche in alcuni versi dell’Inferno della Divina Commedia dantesca.
Il documento preso in esame è il “Registro della Corte del capitano di Nardò”, redatto nel 1491 e conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli: un dettagliato testo giudiziario salentino di cui già qualche notizia si ritrova in alcune pubblicazioni dei linguisti Rosario Coluccia e Marcello Aprile dell’Università del Salento, e da cui risulta come le ingiurie e soprattutto le minacce venissero sanzionate dall’autorità preposta.
Il documento, che contiene anche gli introiti della Corte del Capitano e le rendite della Bagliva (rendite fiscali), è redatto per gli anni 1490-91 dal notaio neretino Giampaolo de Nestore, su disposizioni di Fabrizio de Scorciatis, esattore di Terra d’Otranto, e di Giorgio del Balzo, vicario.
Ma cosa veniva percepito nel Medioevo salentino come ingiurioso o minaccioso?
Dal confronto con altri studiosi dell’argomento del medioevo italiano, anche nel Salento le ingiurie e le minacce riguardano il sistema parentale, l’infedeltà coniugale, la falsità e lo spergiuro, ma anche le caratteristiche del corpo umano, il furto o danneggiamento, la prostituzione, nonché la provenienza politica e/o etnica. All’indice c’erano poi le metafore animalesche usate come offesa, la violenza, il gioco d’azzardo, la bestemmia e infine la miscredenza. Inutile dire che leggendo il testo si nota che non è cambiato molto da allora in queste espressioni colorite e che per esempio non è certo di oggi il significato offensivo del dito medio alzato e rivolto all’interlocutore.
Il testo è talmente approfondito che non tutte le espressioni contenute sono riportabili. Ma eccone alcune significative: “Menga Albanese è denunciata per Antoni Merula che li dixe orbo e cornuto”; “Moysi de Soleto denunciato per Geronimo serviente perché li dixe tu mi li scorciasti”; Ecaterina Fornara denunciata per Venneri Albanese perché li dixe ca “Filippo de Pifani have havuta essa et la soru”; Insomma tradimenti in primis ma anche costumi e moralità. E ancora:
Uxor (la moglie) di Petri Marre denunciata per Antonella Ballia perché dixe “va che ti cala Nunzio de Micheli”. Petruzzo Arubnero de Taranto denunciato per dicto Nachamulli perché dixe “cane filio de cane”.
Ci sono poi reati di tipo economico e ambientale: “Uxor (moglie) Angeli de Stiacio incusata per notaro Bernardino, dacieri (daziere) de lo pane percé lo gabbao”; Lia iudio de Lecche “perché foi incusato che iectao lo romato allo loco del Santo Martino”; “Calullo iudio perché gectao acqua brutta contra lo bagno”.
Esaminando il testo dei processi si nota fra l’altro una notevole presenza di ebrei fra i personaggi coinvolti. È un caso? O sono le avvisaglie dell’espulsione a opera dei reali spagnoli del 1510?
Il Registro Giudiziario Salentino di Nardò, oltre che un importante documento sulla lingua parlata in Terra d’Otranto nel XV secolo, costituisce una fonte per tante informazioni sulla vita quotidiana: arti e mestieri, nomi di piante e di animali, vita del contadino e dei pastori, vita domestica e della famiglia, il corpo umano e l’infermità, il tempo. Un piccolo patrimonio, insomma, parolacce comprese.
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