Tapparini, le storie anti-crisi di un figlio d'arte

Un'opera di Vittorio Tapparini dedicata al padre Ugo
Un'opera di Vittorio Tapparini dedicata al padre Ugo
di Carmelo CIPRIANI
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Domenica 28 Agosto 2016, 22:17
La pittura come narrazione fantastica, come racconto di una realtà lieve, sognante ed evocativa, in cui il grigiore e l'abulia della quotidianità si dissolvono in una visione variopinta e spensierata. È questo il nuovo corso della ricerca artistica di Vittorio Tapparini, che torna a presentarsi al pubblico leccese nelle vesti di “Fabbricante di storie”, come recita il titolo della sua nuova personale impaginata a Lecce, nei locali della Galleria Scaramuzza Arte Contemporanea, a pochi passi dal Duomo, che verrà inaugurata stasera alle 20.
Animatore culturale e sperimentatore di molteplici linguaggi, Vittorio è figlio di Ugo, pittore tra i più noti e apprezzati nel Salento, scomparso lo scorso gennaio lasciando orfano il suo lussureggiante universo iconico, popolato di giunoniche figure e luminosi paesaggi. Una storia di famiglia la loro fatta di incontri stimolanti e amicizie celebri, all'insegna del motto “buon sangue non mente”, riassumibile in un approccio spensierato alla tela, sempre sostenuto da un'inconfondibile visionarietà. Padre e figlio uniti nella vita e nell'arte, animati da autentica verve creativa, approdati entrambi a uno stile personale, frutto di un sapiente e costante ripensamento del fare arte, fuori da emulazioni e condizionamenti. Lo spirito di ricerca è evidente soprattutto nel figlio, alle prese da anni con forme e materiali eterogenei, immune da divisioni e gerarchie in nome di una poliedricità manifesta, ben oltre la sola pittura. Eppure proprio la tela è il supporto scelto da Vittorio per raccontare i suoi più recenti traguardi dando luce e colore ad un'immaginazione leggera e disimpegnata, in cui gli opposti si invertono e le trame del reale si allargano ammettendo il verosimile e finanche il fantastico. Il risultato è rappresentato da una moltitudine di tele che dietro il rassicurante e ironico aspetto bambinesco rivelano una maturità e una consapevolezza artistica più che ventennale.
Conclusa definitivamente l'esperienza del Gruppo Tracce e recuperati tela e pennelli, l'artista riallaccia i fili della narrazione dell'arte, rintracciandoli nei sogni e nelle favole dell'infanzia. «L'urgenza narrativa in Vittorio Tapparini - ha scritto Claudia Presicce nel testo critico che accompagna la mostra - è un istinto insopprimibile, inderogabile. Ha dipinto per tutta la vita, in modi e tempi apparentemente diversi, sin da quando da ragazzo rinunciava a qualche corsa in moto con gli amici nell'ingenua e fresca Lecce degli anni Ottanta per inseguire segretamente le sue fantasie».
La mostra leccese è dunque un ritorno alle origini, a un passato mai dimenticato e che ora è divenuto impellente, quasi necessario, imprimendo di sé il presente. Opere di ridotte dimensioni, prossime nell'iconografia e nello stile a quelle esposte di recente a Roma, in occasione della personale alla galleria della chiesa di Santa Maria dei Miracoli in via del Corso, poste insieme, una dopo l'altra, a comporre un inedito storytelling fatto di personaggi minuti, simili a marionette, immersi in un mondo benevolo, dove le fiamme non bruciano, il mare non conosce sventure e il cielo si riempie di stelle e cuori. Lavori “anti crisi” li ha definiti l'artista, concepiti come invito alla gioia di vivere, al recupero della fantasia e della spensieratezza infantili, esorcizzando diatribe sociali e problematiche esistenziali. Un immaginario favolistico, evocativo e sognante, a tratti volutamente sgrammaticato, che dietro la sinossi infantile cela anni di rapporti, di ricerche e di scoperte.
Gli insegnamenti paterni trapelano ma non si impongono. I tocchi del pennello, soavi eppure saturi di colore, tracciano un legame che è vivo e sensibile ma non condizionante, che Vittorio avverte e si porta dentro sotto forma di spensierata visionarietà e repertorio iconico variopinto, sospeso tra eredità genitoriale e libertà d'espressione. Campiture piatte compongono scene bidimensionali, autenticamente surreali. Tasselli di colore si affiancano l'uno all'altro sul medesimo piano fino a sovvertire rapporti geometrici e regole prospettiche, determinando superfici pittoriche simili a mosaici privi di matericità. Una pittura resa innaturale dal suo essere leggera, memore di Chagall e di quanto il genere favolistico ha saputo produrre nel corso del Novecento, ma soprattutto di Ugo, il padre-maestro che lo ha iniziato all'arte, seguendolo a distanza, nel pieno rispetto della sua sensibilità. Difficile per Vittorio dimenticare le corpulenti figure del padre, i suoi colori vispi, la sua linea fluida e le sue forme definite, quel mondo spensierato e gioioso che Ugo ci ha lasciato e che oggi il figlio reinterpreta a suo modo, passandolo al setaccio del suo vissuto, dando nuovo corso alla vicenda familiare, che, come ogni forma della storia, riesce a guardare avanti senza rimpianti o ripensamenti, solo imparando da se stessa.
La mostra, visitabile fino all'11 settembre, è aperta tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 17.30 alle 22.30.
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