Crepet: «Attenti, è la paura che deve farci paura»

Paolo Crepet
Paolo Crepet
di Claudia PRESICCE
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Domenica 7 Maggio 2017, 22:02 - Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 17:26
“Non abbiate paura”: è una delle ultime espressioni attribuite a Giovanni Paolo II. Il pontefice invocava una maggiore tranquillità rispetto al futuro e ai cambiamenti, non ultimo quello della sua dipartita.
Ma adesso delle camaleontiche metamorfosi della “paura” si parla in ogni canale televisivo, senza sosta. O, peggio ancora, il web, con i social in prima posizione, sono diventati terreni continuamente fecondati da semi di paure varie i cui germogli sono spesso manipolati a sproposito da politici e urlatori di professione. I commenti sull’approvazione alla Camera della “legge sulla legittima difesa”, troppo ferrea per alcuni e per altri troppo fiacca, è un esempio di come il dibattito, chiamiamolo così, si possa incendiare. 

Tuttavia le stagioni della paura, secondo lo psichiatra Paolo Crepet, fanno parte della nostra storia. «Una diversa percezione della paura – spiega infatti Crepet – c’è sempre stata, in vari momenti della nostra storia penso, per esempio, al tempo della guerra e negli anni immediatamente successivi. Questo è stato un Paese con enormi e spaventose differenze economiche e culturali che generavano un clima molto diverso rispetto ad oggi, altro che tranquillità».

Niente di nuovo sotto il sole quindi…

«No, ci lamentiamo tanto, a volte pure giustamente, ma solo perché abbiamo perso il ricordo di quello che è stata l’Italia in passato, con violenze e scippi continui ad ogni angolo. Anche in tempi più recenti, nell’Italia degli anni Settanta e primi Ottanta, quando era molto diffusa l’eroina le aggressioni erano continue: ricordo bene a Trastevere la facilità con cui ti strappavano le catenine d’oro e gli orecchini alle signore, con sangue e scene terrificanti. Purtroppo non abbiamo più memoria, non sappiamo da dove veniamo, siamo tutti un po’ rimbambiti, e abbiamo dimenticato quanto l’incertezza e l’insicurezza siano insite nella nostra storia. Una volta però avevamo meno da perdere, oggi tutti abbiamo qualcosa in più, anche la persona più disagiata sta meglio di un suo pari degli anni Cinquanta. Allora veramente non si sapeva come mangiare, mentre oggi con 3 euro si prende un hamburger al McDonald…».

Anche negli anni ’70 c’era paura delle bombe.

«Certo, la gente veniva pure ammazzata per strada e le manifestazioni di piazza erano tutto fuorché pacifiche, c’erano davvero gli anziani che non uscivano di casa per paura. Non è certo la stessa cosa della rapina in casa di oggi, ma non è vera neanche la leggenda che un tempo si lasciavano le chiavi fuori dalla porta. Succedeva soltanto nelle case in cui non c’era veramente niente da rubare, per il resto è una banalità da bar».

Possiamo dire che la gran cassa mediatica oggi amplifica tutto?

«Certo, il cambiamento spaventoso è avvenuto quando la politica grazie ai social è diventata virale. Purtroppo oggi una qualunque cretinata ha un effetto spaventoso nell’immaginario collettivo con una incredibile facilità di penetrazione, mentre vent’anni fa restava tra i quattro amici al bar e non andava oltre. Oggi invece le scemenze le leggono migliaia di persone e ci credono, e c’è chi specula su questo in maniera assolutamente scientifica. La politica cerca consensi oggi come ieri: da Mussolini a Grillo riempire le piazze è sempre fondamentale. Ma un conto era andare al comizio con gli amici, urlare slogan e poi andare a cena insieme, un altro è leggere la notte da soli su internet del solito rumeno che spacca la testa alla signora o altre notizie che, soprattutto in momenti di particolare fragilità, gettano nel panico. Si può anche impazzire dalla paura. Penso al personaggio di Crozza, Napalm51 l’odiatore professionista che scrive alle tre di notte…».

Quanto questa paura è condizionante nell’esistenza?

«Moltissimo, in Francia oggi si vota sulla paura. L’unico tema vero delle presidenziali di Francia è la paura, agitata da una parte in maniera molto populista, ma, di controverso anche dall’altra parte. Non ci sono infatti altri argomenti, a nessuno interessa dei rapporti con il ministero cinese per la politica industriale francese: il vero problema è mandare via gli extracomunitari, chiudere il porto di Marsiglia, oppure no».

E da noi la paura dello straniero, o del “diverso” per meglio dire, è più legata a vero razzismo o ad un problema di sicurezza?

«La paura del cosiddetto diverso è tipica dei luoghi che con la diversità non si sono mai confrontati. Faccio un esempio facile: a Napoli è enormemente inferiore rispetto ad una valle delle Alpi. Tra popolazioni abituate a vedere passare tanta gente, ci si meraviglia semmai di vedere troppi uomini tutti uguali».

La legge sulla legittima difesa, in relazione all’uso delle armi, può aumentare una certa aggressività?

«Intanto parliamo di una legge evidentemente scritta male. Adesso, nel passaggio al Senato, tutti parlano di correggerla. E comunque, al netto delle interpretazioni, sembra scritta da un comico, neanche Dario Fo nei suoi giorni migliori poteva concepirla con quelle espressioni».

Ma può, questa legge, spingere ad adoperarsi più facilmente ad avere un’arma nelle case e poi magari anche ad usarla?

«Il fatto che ci potrà essere una corsa agli armamenti mi sembra logico. Se lo Stato si inventa una “licenza di uccidere” (senza fare polemica, è questo il giusto titolo della legge) va oltre la legittima difesa che invece credo sia sempre esistita nel novantacinque per cento delle Costituzioni del mondo. La domanda qui è: posso uccidere una persona? E il legislatore “geniale” circoscrive una serie di circostanze in cui si può fare senza andare a finire in galera. È chiaro che questo comporti un aumento dell’acquisto di armi, magari non proprio per tutti, ma per molti. E quando tu hai un’arma in casa prima o poi la usi».

Come insegnano il cinema e la letteratura: se si mostra un’arma prima o poi verrà usata…

«È chiaro, come per gli stessi motivi per la maggior parte degli omicidi domestici si usano i coltelli da cucina che sono a disposizione. Se si possiede quindi una pistola pronta, con il proiettile in canna, perché non usarla? Ma questo non comporterà una diminuzione della paura, è una barzelletta crederlo. Anzi, quel rapinatore che non sceglierà le ore meridiane arriverà meglio equipaggiato sapendo di poter essere sparato, e sarà sempre un professionista rispetto al novello proprietario dell’arma. Quindi questa “licenza di uccidere” diventerà una licenza alla carneficina annunciata».

Paure e leggi anti-paura sono condizionate dal fatto che l’Italia sia un “paese della terza età”, o no?

«Non credo, e anche il ricorso alle armi avverrà tra i giovani. L’anziano non andrà a comprarsi la pistola, tranne quello che tiene già la doppietta per la caccia vicino al letto. Si armeranno i giovani, i più suggestionati, questa non è una legge che aiuterà gli anziani soli in casa. Al legislatore poi non interessa assolutamente risolvere i problemi, ma solo avere una maggioranza per prendere voti. Gli effetti reali di queste decisioni non interessano a nessuno».

C’è poi la paura delle donne, rispetto al femminicidio, che accresce anche un senso di insicurezza nelle stesse famiglie.

«Questo è un problema di rivoluzione culturale delle donne che devono decidere se farla fino in fondo e quando. Finché accetteranno il maschio geloso e energumeno che alza le mani con facilità non cambierà niente. Purtroppo spesso condonano loro per prime una violenza maschile, anche lieve, che poi porta nel tempo ad una escalation che finisce male. Devono essere loro per prime a cambiare culturalmente le cose, minacciando di bloccare subito relazioni in cui vedono le prime avvisaglie di violenza e poi farlo davvero. Se un fidanzato ti gonfia la faccia, quando è tuo marito ti ammazza: nessuno ammazza al primo atto di violenza, si comincia dallo schiaffo e si arriva alla rivoltella. Il maschio violento non va mai giustificato, non è amore tollerare niente: solo una maggiore consapevolezza cambierà le cose».

I bambini e la paura: spesso risentono del nostro sgomento.

«È un delitto dell’egoismo, non serve a niente impaurire un bambino perché non correrà meno rischi. I bambini non vanno coinvolti nelle paure dei grandi, anche quando gravi e legittime: passarle a loro è dare lezioni di angoscia che non li aiuteranno nella vita. Teniamoli quindi fuori il più possibile, almeno da questo».
 
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