Cenerentola in mostra a Roma: un’eroina
grande come il mondo

Cenerentola in mostra a Roma: un’eroina grande come il mondo
di Fiorella Iannucci
4 Minuti di Lettura
Venerdì 2 Novembre 2012, 10:53 - Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 23:36
Si chiamano Tam, Zezolla, Mara, Ottighitta. Molte non hanno un nome. E non importa se sono figlie di prncipi o mercanti, di contadini o pescatori, se lavorano in una risaia o portano al pascolo le mucche, se calzano sandali, babbucce, zoccoli o scarpette di vetro: quel che conta che loro, tutte loro, sono Cenerentola.

Non c’è fiaba capace di stabilire ponti interculturali, di parlare di alterità e diversità attraverso le mille andature della sua protagonista (Vinicio Ongini e Chiara Carrer le hanno raccontate in Le altre Cenerentole, Sinnos editore, partendo proprio dalle scarpe calzate dalle varie protagoniste), quanto la storia della fanciulla umiliata che corona il suo sogno.



Perché davvero Cenerentola è «principessa del mondo», come Ruth Bottigheimer, della Stony Brook University di New York, ha voluto intitolare il suo intervento inaugurale al convegno internazionale (Cenerentola come testo culturale) in programma l’8 novembre presso l’Università la Sapienza di Roma (Villa Mirafiori, ore 9,30). Per tre giorni oltre cinquanta studiosi provenienti da venti Paesi s’interrogheranno sulla fiaba, mettendo a confronto versioni, testi, interpretazioni. Che, nel caso di Cenerentola, non si fermano alla filologia, ma si allargano all’analisi psicoanalitica, antropologica, sociologica, femminista.



Con i lavori congressuali, si aprirà anche la mostra Mille e una Cenerentola (a cura di Monika Wozniak e Giuliana Zagra) presso la Biblioteca Nazionale di Roma (ore 17,30; fino al 31 gennaio, ingresso libero). Esposti volumi rari, manoscritti, marionette, costumi teatrali e persino la collezione di scarpette del Museo nazionale d’Arte Orientale di Roma. E ancora, i disegni per la fiaba di grandi illustratori, da Doré a Rackham, da Luzzati e Innocenti a Pakovska, insieme alle riscritture d’autore. Un omaggio a Cenerentola, degno dell’inchino di un principe innamorato ma anche un modo per celebrare il bicentenario della prima edizione delle Fiabe per bambini e famiglie dei fratelli Grimm (e non a caso è il Goethe Institut a firmare alcune sezioni del convegno).



La magnifica complessità di Cenerentola è tutta nelle sue innumerevoli versioni scritte: 345 per l’esattezza, diligentemente studiate alla fine dell’Ottocento da Marian Roalfe Cox. Una valutazione per difetto: perché la fiaba è diffusissima nella tradizione orale. E’ conosciuta in Medio Oriente, in America, fino al Giappone e alla Cina che detiene forse il primato della Cenerentola più antica: fu scritta infatti nel IX secolo da un funzionario imperiale, Tuang Ch’eng-Shih. Ed è Tam, grano di riso, aiutata non dalla fata ma da Buddha in persona e da un pesciolino rosso, la sorella maggiore di tutte le altre Cenerentole.



Ma ha senso parlare di primogenitura quando si tratta di Fiaba? O non sarebbe meglio indagare sulla fortuna di questa o quell’altra versione, e sul perché la malìa di Cenerentola ha finito per sedurre l’immaginario di tante culture, fino a farne un modello di riscatto femminile anche ai nostri giorni?



Mettere a confronto i due testi letterari più celebri, quello di Charles Perrault del 1697 e quello dei Grimm del 1812, è istruttivo. E quante e quali sono le differenze! Su tutte, una: la figlia del «gentiluomo che aveva sposato in seconde nozze la donna più altezzosa e arrogante che mai si fosse vista», per dirla con il favolista francese, ha una fata come alleata e non un ramo di nocciolo, piantato da Cenerentola sulla tomba della madre e innaffiato dalle sue lacrime, come recita il testo dei Grimm.



Il riscatto di Cenerentola, che si realizza grazie alle sue virtù e alla magia nei Racconti di Mamma l’Oca (ma anche nel celebre cartoon Disney del 1950), rimanda insomma, nella più articolata e cupa versione tedesca (si pensi solo alla sorte delle due sorellastre, mutilate e poi «punite con la cecità»), a ben altro. Scrive Jack Zipes, tra i massimi studiosi di fiabe e di folclore: «In Cenerentola dovremmo tener presente che la versione popolare orale, diversa, emanava da una tradizione matriarcale e rappresentava i conflitti e le lotte di una giovane donna (aiutata dalla madre morta, colei che è alla base della conservazione della società) per riconquistare la sua posizione e i suoi diritti all’interno della società».



Una Cenerentola tutt’altro che disposta a farsi umiliare. L’esempio letterario più fulgido? Quello di Zezolla, la Gatta Cenerentola di Giambattista Basile che, sessant’anni prima di Perrault, aveva trascritto nel suo Pentamerone o Cunto de li cunti la storia dell’orfana. Non esita, Zezolla, a punire la (prima) matrigna procurandone la morte, né a sfuggire con l’astuzia al servitore inviato dal principe dopo la sua precipitosa fuga. Non perde la scarpetta di cristallo, ma una semplice pianella. Tanto basta a una ragazza intraprendente per diventare regina.
© RIPRODUZIONE RISERVATA