L’immediatezza espressiva ci impoverisce

L’immediatezza espressiva ci impoverisce
di Domenico LENZI
6 Minuti di Lettura
Lunedì 20 Febbraio 2017, 20:39
Nei giorni scorsi la stampa italiana si è mostrata sensibile “al grido di dolore che da tante parti d'Italia” si è levato, a opera di 600 professori universitari, nei riguardi dell’uso maldestro che oggigiorno si fa della lingua italiana. Sono state messe in evidenza diverse cause di questa “malattia idiomatica”, che interessa soprattutto i nostri ragazzi, rilevandone i sintomi, senza però approfondirne in modo esauriente le ragioni; spesso trascurando l’eventualità che essa, a sua volta, possa essere un sintomo: il sintomo di un disagio comunicativo che la scuola di massa – indubbiamente benvenuta –  però non è stata in grado di prevedere e arginare.
In realtà siamo di fronte al sintomo di una malattia ormai epidemica, che ha investito anche altri idiomi. E qui cercheremo di evidenziarne fugacemente il virus principale, anche se non l’unico, che si rivela attraverso forme di dislessia/disgrafia/disortografia – in senso lato – spesso accompagnate, non a caso, da gravi forme di discalculia. Una sorta di Melting pot comunicativo, di minestrone linguistico che induce a pensare che l’Homo sapiens sapiens stia estinguendosi, in attesa del prossimo stadio evolutivo della nostra specie, che – se non sapremo intervenire – potrebbe essere, come una volta ebbe a dire Umberto Eco, quello dell’Homo stupidus stupidus.

Più di 100 mila anni fa – dopo un percorso di oltre due milioni di anni, che aveva fatto passare il genere umano dall’H. abilis all’H. sapiens – la nostra specie si avviò alla conquista del linguaggio orale, che avrebbe acquisito circa 50 mila anni fa. E con l’oralità, che consentì forme di comunicazione più evolute, diventammo H. sapiens sapiens, dischiudendo la nostra mente alla razionalità, ai primi esempi di rappresentazione non iconica e ad alcune forme rudimentali di aritmetica.
Un’aritmetica del tipo una tacca – incisa su un osso lungo di animale – per un oggetto (forse un uovo, forse una pecora, chissà), un’altra tacca per un altro oggetto, e così via. Introducendo così le prime forme di rappresentazione analitica, in cui ogni elemento risulta essere essenziale.

Attualmente, nel nostro modo di percepire le cose spesso entrano in gioco situazioni evidenziate dagli studi sulla “psicologia della forma” (gestalt), secondo cui noi tendiamo a un’organizzazione globale di ciò che ci si presenta (percezione globale), come se quello che recepiamo volesse tratteggiare una forma, che può apparirci anche incompleta, come nelle costellazioni astronomiche che abbiamo finito col chiamare Grande Carro (l’Orsa Maggiore) e Piccolo Carro (l’Orsa Minore); poiché in tal caso si verifica un fenomeno di completamento di ciò che ci appare, che va sotto il nome di chiusura. Il che si contrappone a situazioni in cui si tende a ignorare dei particolari – che pure potrebbero essere importanti – nella convinzione che quelli recepiti siano sufficienti a interpretare correttamente l’informazione che ci giunge. Segnaliamo, però, che un uso acritico del fenomeno del completamento può determinare molti pericoli. Infatti, se non si favorisce anche l'abilità di esaminare un messaggio in modo analitico – quando sia necessario – possono sorgere vari inconvenienti; come il fatto che il destinatario a volte elabora solo parte dell'informazione che gli è stata trasmessa: quella che riesce ad acquisire più facilmente, tralasciando particolari che invece potrebbero essere importanti; oppure tralasciando aspetti che, trascurati a livello cosciente, possono essere assimilati in maniera dannosa a livello inconscio, come succede nei messaggi pubblicitari.

La predisposizione a una percezione di tipo globale e unificante, essendo innata, la si ritrova non solo negli adulti; ma anche nei bambini, i quali sono portati a esaminare la natura che li circonda nel suo insieme, sincreticamente. Perciò questo tipo di percezione – per certi aspetti utilissima – se non coesiste con la percezione analitica, può finire con l’ottundere la capacità di ragionare. Infatti, spesso ci si limita a cogliere fugacemente e in maniera incompleta le prime informazioni che si acquisiscono; traendo poi da esse delle conclusioni che possono risultare errate.
Qui vogliamo citare il caso di una bambina di cinque anni e qualche mese a cui erano state mostrate le dita indice e medio. Alla richiesta di quale numero fosse così rappresentato la piccola rispose che era il tre. Avendole detto che si trattava del due, quella ribatté che lei il due lo indicava con pollice e indice. Ebbene, la bimba aveva semplicemente completato la rappresentazione recepita sul momento – che non faceva parte del suo bagaglio di conoscenze – aggiungendo inconsciamente il dito pollice e concludendo che le era stato mostrato il tre, ricorrendo a un’immagine di cui aveva già avuto esperienza.

L’inclinazione dei piccoli verso la percezione globale – uno dei due pilastri fondamentali della conoscenza – ha indotto in alcuni studiosi l’equivoco secondo cui anche l’approccio alla lettura debba essere di tipo sincretico (metodo globale), presentando ogni parola nella sua interezza, come se fosse un logo, un marchio. Tuttavia questo metodo non ha dato grandi risultati.
In verità, il fenomeno della chiusura facilita una lettura rapida, dovuta al fatto che essa avviene sia con salti di lettere in alcune parole, sia con salti di parole. Tale tendenza al completamento è legata a un atteggiamento di fronte a ciò che leggiamo, che – per ragioni di brevità e di minor dispendio: una sorta di riflesso innato in ogni individuo – noi cerchiamo di catturare nella sua interezza attraverso alcuni elementi peculiari che colpiscono più di altri la nostra attenzione; pur sapendo che le parole scritte hanno una loro costruzione analitico/alfabetica che si realizza con un andamento grafico da sinistra verso destra. Onde siamo di fronte a una forma di unitarietà che in realtà è frutto di una sintesi che è innescata – in termini di chiusura – da quegli elementi caratteristici.

Però ciò può far credere che la comunicazione possa avvenire sempre in modo semplificato. Il che spesso induce a privilegiare forme che tendono all’immediatezza espressiva, determinando un impoverimento di quelle capacità linguistiche che sono state una molla fondamentale per il progresso umano; impoverimento e regressione verso forme di comunicazione abborracciate e approssimative, come già si incomincia a notare, che a lungo andare potrebbero affievolire la nostra capacità di comunicare, accrescendo quella babele che spesso impedisce agli uomini di comprendersi anche quando parlano la stessa lingua.
Ma quando intervenire affinché il bambino a poco a poco comprenda l’importanza di un esame di tipo analitico delle informazioni acquisite? A nostro avviso il periodo è proprio quello della seconda infanzia, dai 2/3 anni ai 6, in cui le capacità cognitive sono in pieno sviluppo e in maniera del tutto naturale; senza che certi aspetti del linguaggio – per altro importantissimi, ma che possono risultare deteriori se non sono opportunamente guidati – irrompano prepotentemente, mettendo in pericolo l’educazione alla razionalità del bimbo. Parliamo di un’età in cui il linguaggio è del tipo “pane al pane e vino al vino”, senza sottintesi, retropensieri e metafore; che, del resto, per essere usati in modo adeguato hanno bisogno di essere guidati e incanalati correttamente.

E, in tale tipo di attività, un terreno fertile può essere costituito dai primi elementi di aritmetica, quelli della concretezza, tipici dell’uomo della strada, affrontati con mezzi elementari: l’aritmetica delle dita e dei sassolini, da usare alla luce del buon senso, senza artifici inutili e dannosi.
Ed è per questo che lo scorso 8 febbraio, presso il dipartimento di matematica e fisica dell’universi-tà del Salento, si è svolta una tavola rotonda dal titolo “Sui primi livelli di apprendimento della matematica”, che ha visto come relatori il sottoscritto e i professori Stefania Pinnelli e Luigino Binanti, del corso di laurea in scienze della formazione primaria dell’università del Salento. Alla tavola rotonda sono significativamente intervenuti il sottosegretario alla Pubblica Istruzione, la senatrice Angela D’Onghia, e l’assessore regionale alla Formazione, all’Università e all’Istruzione, il professor Sebastiano Leo. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA