L'allarme di Bauman: «I consumi culturali come merce»

L'allarme di Bauman: «I consumi culturali come merce»
di Claudia PRESICCE
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Martedì 16 Febbraio 2016, 18:05 - Ultimo aggiornamento: 19:11
È finito l’Illuminismo, da un pezzo. Non c’è più letteratura didascalica o arte rinnovatrice; non ci sono invenzioni per appagare la nostra mente, ma solo tecniche di seduzione per invitarci a consumare. Ma quello che si consuma però non deve mai regalare completa soddisfazione. Perché l’utente insoddisfatto continua a comprare, quello appagato non serve più al mercato, e quindi al mondo d’oggi. E in questa visione senza scampo anche la cultura è mercificabile, fatta di prodotti da consumare in fretta, seducenti e allettanti, quanto facilmente deperibili e, anch’essi, a obsolescenza programmata. Ma è davvero questo quello di cui abbiamo bisogno? Dov’è finita l’aspirazione a migliorarsi, evolversi, crescere attraverso la conoscenza? Esiste ancora questa esigenza e soprattutto esiste la possibilità di farlo?

“Nella modernità liquida la cultura non ha un “volgo” da illuminare ed elevare; ha, invece, clienti da sedurre”: lo scrive Zygmunt Bauman nel suo ultimo illuminante saggio e risponde così, brutalmente, a queste nostre domande. Le recenti considerazioni sono tratte dall’ultima sua pubblicazione “Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi” (Laterza; 14 euro). Come tutte le riflessioni del grande pensatore, professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, anche quelle racchiuse in questo libro sono destinate a mostrarci nuovi orizzonti e spettinare le nostre certezze.
Con le sue solite chiare e precise parole arriva dritto al punto: la cultura oggi non deve soddisfare i bisogni esistenti, semmai deve puntare a crearne nuovi, lasciandosi intorno una scia di insoddisfazioni, perenni e nuove. Anzi, peggio ancora, spiega il grande sociologo “la sua principale preoccupazione è di impedire che prenda piede un senso di soddisfazione tra quelli che erano i suoi soggetti e operatori, trasformati ora in clienti”. La possibilità di creare gratificazioni è dunque idea eversiva in un mondo come questo, anche laddove si parla di gratificazioni culturali.
Per questo motivo in questo sistema non c’è spazio per idee risolute e prese di posizione, anzi, l’intercambiabilità, la duttilità e la scarsa convinzione di sé sono diventati valori coltivati.
In questo senso Bauman porta l’esempio di una recensione importante ad un programma cultural musicale del Capodanno di qualche anno fa che elogiava l’offerta variegata dello show che dava la possibilità di “entrare e uscire dal programma” secondo le proprie preferenze. La scarsa affezione a qualcosa è infatti oggi qualità più apprezzabile della determinazione, della lealtà e dell’appartenenza. Cioè il gioco di collegarsi e scollegarsi è più utile alla liquidità ed è qualità richiesta anche in chi l’arte o la cultura la produce. Non esistono dunque più discussioni in difesa di una forma d’arte rispetto ad un’altra, la passione viscerale per un pensiero è del tutto anacronistica, fuori luogo, così come i proclami di condanna e diffamazioni sono cosa rara rispetto ad epoche di tempeste.

Gli artisti producono solo per avere una breve fama e per il piacere personale di chi ne beneficia (sempre limitato nel tempo). Quindi i loro lavori vengono giudicati tutti attraverso la “montatura pubblica” che accompagna la loro opera in quel determinato momento. Lo scopo non è più quello di far crescere la società, di aprire la mente: questi ormai sono concetti lontanissimi e anche del tutto decontestualizzati. Spiega con acutezza spiazzante Bauman: «Le forze che guidano la graduale trasformazione del concetto di “cultura” nella sua incarnazione liquido moderna sono le stesse forze che favoriscono la liberazione dei mercati dalle loro limitazioni non economiche, principalmente sociali, politiche ed etniche».
Ecco perché anche il potere di seduzione in ambito culturale deve avere una scadenza breve per aprire le porte ai prodotti sempre nuovi che ininterrottamente vengono offerti per cercare di contattare tutte le possibili richieste dei consumatori. In questo anche la cultura, secondo il pensatore, assomiglia oggi ad uno dei reparti di un mondo modellato come una specie di grande magazzino i cui scaffali si riempiono e si svuotano di continuo in base alle pubblicità che li sostengono e che presto vengono sostituite dalle nuove.
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