"Jimmy", il simbolo della marginalità e della ribellione

"Jimmy", il simbolo della marginalità e della ribellione
di Antonio ERRICO
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Martedì 29 Settembre 2015, 22:04 - Ultimo aggiornamento: 22:15
Quando James Dean morì aveva ventiquattro anni. Era il 30 settembre del Cinquantacinque. Sessant’anni fa. Uno scontro frontale sulla U.S. Route 466, ad est di Cholame, California. James rimase intrappolato nella sua Porsche da 6900 dollari. L’icona di James Dean si conforma a quel punto; l’uomo, l’attore, si trasforma in simbolo a quel punto e per sintesi del simbolo viene utilizzato il titolo di un suo film: Gioventù bruciata. A quel punto l’arte e la vita si ritrovano in una perfetta identificazione rappresentata dall’immagine di un ragazzo con i jeans, la t-shirt bianca, il giubbotto.



Nel punto della sua morte, James si trasforma in mito che attraversa l’immaginario delle generazioni. Non è il mito dell’eroe, quello di James Dean. E’ il mito della creatura che morde ogni istante dell’esistenza forse perché inconsciamente ne avverte la precarietà, l’inconsistenza.



E’ il mito della marginalità e della ribellione verso tutto quello che appartiene alla terra, verso tutto quello che appartiene al cielo, verso se stesso. I miti della modernità o della postmodernità sono connotati da questa condizione. Non è l’eroe che vince le battaglie, che si oppone agli dei e al fato. E’ una creatura accartocciata su se stessa, che perde sempre perché ha desiderio di perdere e di sperdersi, annullarsi, dissiparsi. E’ l’eroe che non ha eroi; è un mito senza miti. Non ha conoscenza di una maniera per salvarsi la vita perché non crede che esista una possibilità di salvezza, perché è convinto intimamente che la vita è fatta per essere perduta. La solitudine è una condizione di attesa di questa perdita. I suoi stessi movimenti esprimono questa attesa: le mani in tasca, la testa che ciondola, l’incepparsi delle parole, l’irrequietezza, l’agitazione, a volte il sorriso senza ragione. Forse apparentemente senza ragione, perché potrebbe anche essere un sorriso di beffa nei confronti di quella perdita. Un sorriso in faccia alla morte.

Gli eroi sorridono sempre in faccia alla morte. La sfidano con la loro gioventù, con la loro bellezza, la incitano all’ultimo duello che devono e vogliono perdere.



Nella mitologia, l’eroe va incontro alla morte e la sua morte significa che è stato sopraffatto dalle forze sconosciute del mondo. È l’incognita del mondo che l’eroe non può vincere.

Si racconta che un attimo prima dello schianto, mentre il conducente dell’altra auto si apprestava a girare a sinistra tagliandogli la strada, Dean avesse confidato al meccanico seduto a fianco: “Ci vedrà... Quel ragazzo dovrà pur fermarsi”. Un totale abbandono alla fatalità.

Quell’auto, quel ragazzo, erano la sua incognita del mondo.



Allora potremmo chiederci se il senso di ribellione che Dean portava sullo schermo non fosse quello di una ribellione alle forze sconosciute del mondo che si presentavano sotto le maschere di contesti e comportamenti sociali, con l’immobilità e il bigottismo di un piccolo paese della provincia americana. (Quando James Dean morì, non ero ancora nato. Vidi per la prima volta Gioventù bruciata nello stesso periodo in cui leggevo per la prima volta Il giovane Holden di Salinger. Poi ho rivisto il film più volte, ho riletto il libro più volte, e ogni volta ho avuto l’impressione che si rassomigliassero, straordinariamente).



Saremmo probabilmente molto ingenui se ci ponessimo il problema di catalogare i miti in buoni e cattivi, in positivi o negativi, in quanto assumeremmo una prospettiva che non ci consentirebbe di comprendere in che modo il mito agisce nella sfera dell’immaginario collettivo. Il mito ha quasi sempre una connaturata ambivalenza, una stratificazione e una pluralità semantica che esercitano un richiamo e una seduzione. Ulisse ci affascina non solo per il multiforme ingegno ma anche per i continui inganni che con il suo ingegno tesseva.



Aveva ragione Fernando Pessoa quando nell’incipit della poesia che dice di Ulisse, scrive che “Il mito è quel nulla che è tutto”; ha ragione quando nell’explicit scrive che “La leggenda così si dipana,/ penetra la realtà/ e a fecondarla decorre./ La vita, metà di nulla/in basso muore”.



Oggi James Dean avrebbe 84 anni. Nessuno può dire chi sarebbe, oggi. Forse un divo di Hollywood. Forse un ex sexy simbol. Forse un attore dimenticato, come tanti attori dimenticati.

Certamente non sarebbe un mito.