L'incolmabilità dell'assenza originaria

L'incolmabilità dell'assenza originaria
di Asia MARIANO
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Mercoledì 7 Dicembre 2016, 08:19
«Sei anni fa guardavo la fotografia dei migliori giornalisti del mondo ed ero come un bambino di fronte ad una vetrina di dolci; oggi, sei anni dopo, ho ottenuto questi dolci, tutti quanti». Parole semplici e dirette quelle di Kane,
protagonista di “Quarto Potere”. Una metafora che esprime in modo chiaro quanto grande sia la soddisfazione di raggiungere la meta della propria vita, la massima ambizione, di stringere finalmente nelle mani il proprio obiettivo.

Descritto da tutti come un uomo che si è fatto da sé, che ha saputo volgere a proprio vantaggio tutti gli ostacoli che ha trovato sul suo cammino, ammirato da ogni uomo americano a lui contemporaneo e ritenuto capace di poter avere qualsiasi cosa egli desiderasse, addirittura chiunque egli desiderasse.

Detentore, attraverso un esteso patrimonio editoriale, di quello che può essere definito il 'quarto potere', la facoltà di controllare le masse attraverso le notizie. Di deviare l'attenzione della popolazione, di portare il mondo nella direzione che si vuole. Ma di cosa può avere bisogno un uomo che ha tutto?
La storia di Charles Foster Kane, alla quale siamo introdotti nel momento della sua morte, fa vedere come ci sia sempre e necessariamente una maglia rotta nella rete, un anello nella catena che non tiene. C'è sempre qualcosa che manca, seppur impercettibilmente, inconsapevolmente, persino nella vita di un uomo che ha ogni cosa materiale.

Si può cogliere infatti nella metafora iniziale una triste verità, quella che Kane, abbia potuto essere solo 'come' i bambini, ma mai uno di loro effettivamente. Nella vita del miliardario editore manca infatti ciò che rende piena la vita anche del più povero lavoratore: l'amore. Il protagonista arriva a pensare di poter comprare qualsiasi cosa con il denaro, persino l'affetto delle sue donne e di poterle avere alle sue condizioni, quasi come fossero contratti, ai quali lui era tanto abituato. La rivelazione di questa sostanziale infelicità malgrado l'apparente ricchezza dell'uomo è nascosta in un'unica parola che Kane pronuncia in punto di morte guardando la neve scendere in un comune souvenir: Rosabella. La parola scritta sullo slittino a cui lui era tanto legato, che simboleggia l'infanzia negata alla quale è stato strappato dal frenetico mondo del lavoro, in cui tristemente ci si dimentica della cosa più importante di tutte e la cui assenza le rende tutte vane.
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