I riti della passione: una cura dell’anima

I riti della passione: una cura dell’anima
di Anita PRETI
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Mercoledì 27 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:34


Eccola, arriva. La Pasqua, la festa più bella dell’anno. Più del Natale, che esclude. Sì, lo fa con coloro che non hanno, coloro che sono soli. La Pasqua, al contrario, include: perché non c’è uno al mondo, uno solo, che non abbia o non abbia avuto una pena nel cuore. E se invece c’è, costui, facile la rima, è un re. Agli altri, cristiani o non cristiani che siano, la Pasqua, in cui ci si perde ma si risorge, è offerta dalla storia dei tempi per venir fuori da un dolore, da un rimorso, da un rimpianto. Ma anche per compiere un gesto piccolo gesto così difficile: chiedere od offrire perdono ad un altro diverso da sé. E, a volte, soltanto perdonarsi. Poi, lo sanno tutti come vanno le cose nel mondo, arrivano altri, magari sono già arrivati …chi se lo ricorda più quello che diceva un tedesco ormai completamente fuori moda … tale Bertolt Brecht, scrittore poeta e drammaturgo. Lui parlava, per la verità, di guerre e sosteneva che non ci fossero nemici verso cui marciare perché il nemico era sempre alla testa del proprio esercito. Per cui, tranne questo deprecabile individuo, tutto gli altri si ritrovavano uguali e sono uguali, alla pari, si potrebbe quasi osare dire fratelli. E verso di loro non si può che provare amore, solidarietà, carità e, laddove fosse necessario, quel perdono per rinascere insieme. Non è forse proprio una nascita, la Resurrezione, il significato della festa? Uno dei significati. E chissà che non sia il più importante, per andare avanti. Quello a cui tendere attraverso una serie di comportamenti. Intimi o collettivi. Beati coloro che hanno fede perché sanno dove andare a parare. Ma una beatitudine ci sia pure per gli altri che guardano da lontano, da fuori, i segni del rito, essenza della festa. Sono quasi innumerevoli questi segni. Le processioni, tante, disseminate in ogni angolo di questa lunghissima Puglia.

Gli uomini incappucciati

Gli uomini incappucciati che nascondono sotto il saio l’identità perché sia chiaro sempre che un uomo è un uomo, prima ancora di essere un nome, una data, un indirizzo, un mestiere, un potere o l’assenza di esso.

Il suono degli strumenti di penitenza...il suono delle bande musicali ovvero quando il dolore diventa poesia, e le note salgono in cielo e vanno a raggiungere chi non c’è ma invece c’è, si è soltanto spostato dalla vista, dallo sguardo di chi è rimasto... Un altro segno delle processioni è ciò che occorre per farle, il cammino. Si può andare a passo lento o all’opposto a passo più svelto; ma il sublime lo raggiungono coloro che camminano con il passo del perdono, lentamente, talmente lentamente che sembrano immobili. Una volta l’hanno descritta così: “la velocità umiliata”. Che smacco meraviglioso per la fretta del tempro presente. Poi ci sono anche “altri” riti che governano la festa e le impongono ritmi diversi, pagani…come per un’altra qualsiasi che si rispetti e sia degna del nome, finisce per molti intorno a un tavolo. La festa, qualunque essa sia, è motore del rito.

I riti

Il rito, lo spiegano gli studiosi, è quell’insieme di gesti e consuetudini che uniscono una comunità e, se necessario, se all’insegna di una fede, lo mettono in comunicazione con la divinità di appartenenza. Da un Totem a un Dio, ciascuno secondo sua fede. Ci sono dei codici di comportamento, certi rituali che i cristiani e gli ortodossi e tutti coloro che si apparentano ad altre religioni seguono, i più, pedissequamente. Gli altri, gli agnostici, prendono dai rituali ciò che più loro aggrada. Per esempio la cucina della festa che, in Italia, al Sud in particolare, è infinitamente più parca di quella natalizia…ma si fonda sul gesto crudele in danno di un quadrupede di razza ovina o caprina. Il giorno dopo il sacrificio tutto è già dimenticato… se appena il tempo lo consente si corre fuori a celebrare la Pasquetta, la sorellina di Pasqua. Si va per le strade di una città, ci si aggira nei campi dove cercano di spuntare primule, come quelle di un poeta, e margheritine, si cerca il mare per guardarlo con la promessa di un incontro a breve perché la primavera lascia subito il posto all’estate. Per alcuni il lunedì (meglio, l’intero fine settimana) si identifica con un viaggio, Si parte; “forse”, “anche”, ma non è detto. Perché Pasqua, è chiaro a molti, non vuol dire andare, vuol dire invece ritornare. E’ questo il rito privato della festa. Quanta gente che non si vedeva da un pezzo, da un anno almeno, si aggira adesso per le vie. Ehi tu, ehi voi, ma guarda un po’, quando sei arrivato, ti fermi, ci vediamo. E’ tutto un dire, un gioire per un incontro. Vengono da ogni parte d’Italia, anche dall’estero, dal più lontano degli esteri. Cosa li spinge a ritornare, a rivedere, oltre le città, nei paesi “le case di calce”, nell’agro le cicale, roba per poeti, Bodini, Carrieri. Uno dei due, proprio Carrieri, una volta ha messo tre parole in un verso: “sbaglio a fuggire”. E loro (ehi tu, ehi voi…) perché lo hanno fatto, vallo a sapere. Per crescere, per migliorare, per inseguire un sogno, per lasciarsi alle spalle una terra stretta, un po’ amara, un po’ di pietra. Adesso li rivuole. Tutti qui. E tornano. Perché, lo sanno anche loro che tra la luce del giorno che si spegne, il buio della notte, l’acquerello dell’alba, le strade accolgono i Riti. Il procedere degli uomini, i confratelli, gli uomini della perdonanza, fanno non lo si può dire uno spettacolo e, guai, nemmeno un miracolo ma certo è qualcosa che sfiora la meraviglia. “Ho visto cose”, come fosse fantascienza. Cosa li spinge a quel sacrificio. Mistero.

La banda, una, tante, in ogni paese dal sud al nord della lunga Puglia, accompagna le ore. Scuote i pensieri, disordina le emozioni. Strazia fino alle lacrime. A volte è impossibile resistere alle lacrime. Questi riti sono i lacci che riportano quelli che sono partiti fra coloro che sono rimasti, ciascuno con una ragione per averlo fatto…Poi ci sono, sì che ci sono altri riti innocenti: le pulizie di Pasqua…via le tende, in alto poltrone, su e giù per i vetri, lucidare i mobili, avanti e indietro sui pavimenti. Una specie di religione laica osservata scrupolosamente un tempo perché era il saluto della casa alla Primavera. Ma in molte comunità era anche il modo migliore per presentarsi al parroco che, “in cotta e stola”, girava fra le abitazioni di un condominio o nelle casette unifamiliari per la benedizione pasquale. Infine c’era una volta anche un altro piccolo rito ma possono ricordarlo solo coloro che sono più avanti negli anni: il vestito nuovo per Pasqua…anch’esso delegato ad accogliere la stagione nuova quella dei risvegli, messaggero di una felicità interiore, raggiunta o sperata. Ora tutto questo non esiste più. Oggi può dirsi rito anche solo un festival di canzonette, il boato di uno stadio, certi applausi fuori posto, un oggetto esibito come un tangibile segno dell’essere e del potere. Niente, a pensarci su, pari alla bellezza di una festa di nome Pasqua, così profonda, così intima e così comune a tutti. La più bella dell’anno.

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