Francesca Vecchioni: così combatto l'omofobia

Francesca Vecchioni: così combatto l'omofobia
di Claudia PRESICCE
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Lunedì 11 Maggio 2015, 18:51 - Ultimo aggiornamento: 19:01
“T’innamorerai senza pensare”: il titolo è rubato ad una canzone di papà Roberto e la voglia è quella di raccontare la sua storia personale per spiegare tante cose che non si sanno sull’amore. Francesca Vecchioni, che ha presentato il suo libro alle Officine Ergot di Lecce, ha racchiuso nelle pagine della sua intensa autobiografia tutta la bellezza e gli ostacoli vissuti da una donna che ha scoperto presto di amare le altre donne.



La paura della reazione in famiglia, poi la voglia di maternità con la sua compagna che l’ha por- tata ad avere due gemelle, le difficoltà dopo la sepa- razione, l’amore che va oltre: è una storia come tante altre, ma che il mondo intorno vede “diversa”.



Francesca quando ha cominciato a scrivere questo libro e perché?

«L’estate scorsa. Non pensavo di fare un’autobiografia, mi sembrava fuori luogo a 40 an- ni. Infatti il libro ha tre registri e inizia come un romanzo in cui parlo dei miei nonni, della mia famiglia. Poi ho capito il lato sociale: attraverso la mia storia potevo arrivare alle persone che non conoscono molte cose legate all’omosessualità. Mi sono buttata, rischiando l’autoreferenzialità, ma alla fine il risultato è un’opera pop, comprensibile a tutti. Lo scopo era proprio la necessità di raccontare le cose attraverso una testimonianza diretta. Come si struttura il carattere, come si cresce e quanto può essere difficile fare delle scelte nella vita, partendo dalla famiglia di origine fino a quella che si co- struisce da adulti. Tutto ciò vale per eterosessuali, omosessuali o transessuali, e il senso del libro, in un certo senso, è pro- prio far dimenticare l’omosessualità, poco determinante nell’essere persone».



L’amore è uguale per tutti...

«Sì, parlare dei miei sentimenti mi serve proprio per spiegare questo. Il libro l’ho scritto più da lettrice pensando a che cosa avrei voluto leggere io su questi temi. Perché in fondo, nella mia generazione, non ci sono stati esempi gioiosi e felici legati all’omosessualità, ma solo negativi. Mi piace pen- sare che lo leggano le mamme o le zie o i padri di ragazzi che magari ancora non hanno fatto coming out, non è un libro so- lo per omosessuali. Alla fine ho messo in- fatti un “manuale di sopravvivenza per eterosessuali”: senza spezzare la storia ho riunito le sette domande più comuni e difficili sull’omosessualità».



Il messaggio più importante che vuole veicolare qual è?

«Un paio. Il primo è che se entri nel cuore dell’altro capisci, più con il cuore che con la mente, che i sentimenti sono sempre uguali. Il secondo è che il problema non è essere omosessuali o bisessuali, o transessuali: l’unico problema è la discriminazione, l’omofo- bia. Ma ci sono persone che confondono anche i concetti perché non sanno che è diverso “omosessualità” da “omofobia”, e lo dico con grande rispetto senza dare dell’ignorante a nessuno».



Quanto ha contato la sua famiglia nella sua storia?

«Noi siamo sempre il prodotto di chi ci ha cresciuto, un pezzo di noi è linfa del terreno in cui cresciamo. Per questo è così delicato il problema del coming out con i genitori ed è così sentito il problema del bul- lismo omofobico nelle scuole, perché tutto quello che siamo ce lo passano i genitori, gli in- segnanti, gli amici, chiunque ci cresce. E avere un padre come il mio mi ha insegnato ad essere in grado di vedere il mondo con gli occhi degli altri, capire che noi influenziamo anche l’altro e che nostra responsabili- tà è il benessere del mondo, come di chi ci sta accanto».



Ascoltava la musica di papà da bambina?

«Certo. Noi quattro figli abbiamo tratto molto dal suo lato artistico, dai messaggi di quello che lui mette in quello che scrive».



È stato un papà un po’ ingombrante?

«Un papà famoso è sempre ingombrante. Anche se sei la figlia del sindaco di un piccolo comune, ti indicano. C’è sempre la domanda se ti guardano per arrivare a lui o perché sei tu. È la definizione della pro- pria sfera che è più difficile, ma mio padre ha caratteristiche paterne affettive tali da lasciare molto spazio alla nostra personalità».



Mai pensato di seguire la sua strada?

«No, nessuno di noi quattro canta. Ho sempre amato scrivere e sono diventata giornalista, ma non mi ritengo scrittrice. La famiglia, tutti insegnanti, ci ha insegnato a privilegiare la cultura».



E la sua maternità quanto è ispirata a quella dei sui genitori?

«Cerco di prendere quello che più mi ha fatto bene, guardo sempre al bicchiere mezzo pieno. Tendo ad agevolare le mie figlie, perché ho piacere che siano in grado di vivere la vita come vorranno loro. Il ruolo del genitore è lasciar liberi i figli di capire chi vogliono di- ventare. Questo hanno fatto i miei genitori per me questo farò io con loro».
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