Il vizio del gioco: terribile malattia. A cinema un film sulla ludopatia

Una scena del film
Una scena del film
di Francesco DI BELLA
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Lunedì 30 Maggio 2016, 15:26 - Ultimo aggiornamento: 15:39
È una commedia, ma si ride amaro e a denti stretti. “Una nobile causa” è infatti un film su una delle più tristi emergenze della società attuale: la “ludopatia”, ovvero il vizio del gioco. Un argomento non facile, affrontato attraverso un’escalation di colpi di scena nelle storie parallele dei due principali protagonisti, Gloria (Francesca Reggiani), giocatrice incallita che ha vinto un milione di euro alle slot machine, e Alvise Fantin (Giorgio Careccia), anch’egli preda del vizio del gioco e dedito alle truffe per poterlo finanziare. Tra i due il dottor Aloisi (Antonio Catania), psicologo specializzato nella cura del gioco di azzardo, al quale si affidano i familiari di Gloria temendo che lei possa sperperare quella grossa somma. Presentato qualche giorno fa a Roma in prima nazionale, oggi il film sarà in proiezione nelle sale del circuito “MovieDay”: in Puglia, il Cinema Bellarmino di Taranto e il Cinema Felix a Foggia. Regista del film è Emilio Briguglio, mentre soggetto e sceneggiatura sono firmati, oltre che dallo stesso Briguglio, anche da Riccardo Fabrizi e dallo scrittore Francesco Costa.

Francesco Costa, una commedia costruita su un argomento dai risvolti spesso drammatici, come purtroppo ci raccontano le cronache...

«Il problema si presenta come un serpente che si morde la coda: lo Stato è in allarme per le dimensioni del fenomeno (almeno 800.000 persone sono schiave della dipendenza dal gioco, e in questo l’Italia è superata soltanto dagli Stati Uniti e dal Giappone), ma poi è il primo a guadagnare da questa patologia di cui non ci si occupa a sufficienza. Intere famiglie finiscono sul lastrico o nella morsa degli strozzini se hanno la disgrazia di avere un giocatore nel loro nucleo. E il giocatore non arretra di fronte a niente pur di procurarsi il denaro da investire nelle giocate. Il film è costruito come una commedia crudele in cui si evidenzia la capacità che ha il giocatore di manipolare il prossimo per conseguire i suoi scopi, ma è anche un inno all’arte di raccontare e di far passare il vero per falso e viceversa».

Napoletano, 70 anni, Francesco Costa affianca l’attività di sceneggiatore cinematografico e televisivo a quella di romanziere. E spesso le unisce, com’è accaduto, ad esempio, per “L’imbroglio nel lenzuolo”, il film con Maria Grazia Cucinotta tratto dall’omonimo suo romanzo.
Ma quanto la sua vena di scrittore ad ampio respiro interviene nella più rigida costruzione di un copione, e quanto le tecniche di costruzione di una sceneggiatura l’aiutano nella stesura di un romanzo?

«Quella dello scrittore è un’attività solitaria in cui si corre il rischio di sentirsi onnipotente perché si ha il controllo assoluto sulla materia da raccontare. Lo scrittore è contemporaneamente regista, primattore, primattrice, costumista, scenografo e consulente storico. La sceneggiatura, invece, t’impone un corpo a corpo con altri collaboratori (e la stesura di “Una nobile causa” è il primo frutto di un sodalizio che ho fondato tre anni fa con un giovane sceneggiatore, Riccardo Fabrizi, che è bravissimo) il che può rivelarsi un sollievo dopo mesi e mesi di solitudine e d’introspezione. È inevitabile che l’attività di scrittore influenzi quella dello sceneggiatore soprattutto nella costruzione delle psicologie dei personaggi che diventano più complesse di quanto si veda abitualmente al cinema mentre il mestiere dello sceneggiatore renda più ritmato e “visivo” il lavoro dello scrittore».

Oltre a cinema, tv e romanzi, lei non disdegna di dedicarsi anche alle sceneggiature dei fumetti e ha fornito testi a molti grandi disegnatori del panorama italiano. Qual è il suo rapporto con la “nona arte”?

«Le sceneggiature dei fumetti e dei fotoromanzi (ho lavorato ben cinque anni per la mitica casa editrice Lancio) sono state il mio apprendistato di scrittore. Scrivendo oltre cento sceneggiature, mi sono sbizzarrito ad affrontare i più diversi generi narrativi (thriller, avventura, western, ecc.) e questo mi è servito a farmi le ossa, oltre a darmi la soddisfazione di vedere le mie storie illustrate da grandi disegnatori come Franco Saudelli, Massimo Rotundo e molti altri».

L’infanzia e i ragazzi. Lei ha scritto per loro numerosi racconti e viaggia spesso da una parte all’altra dell’Italia anche per tenere incontri nelle scuole. È una “falsa credenza” quella secondo cui le nuove generazioni non leggono?

«I ragazzi, contrariamente a quanto si crede, leggono moltissimo. È alla fine della scuola dell’obbligo che metà dei lettori, ahimè, si allontana dalla lettura per prendere altre strade. È evidente che, prima di questa preoccupante defezione, nell’avvicinare lo studente ai libri è decisivo il ruolo dell’insegnante. I ragazzi meno motivati smettono di leggere proprio quando viene a cessare lo stimolo esercitato dai docenti e questo dovrebbe farci riflettere».

Lei è anche critico cinematografico. Entrano mai in conflitto, in lei, il critico, l’autore e lo sceneggiatore? E se dovesse scrivere una breve critica su “Una nobile causa”, quale sarebbe?

«“Una nobile causa” ha finora ottenuto recensioni molto favorevoli in cui è stata sottolineata in modo inequivocabile la sapienza della sceneggiatura, e questo mi ha reso molto felice. Se dovessi recensire io il film, terrei a precisare che a fare spettacolo è in questo caso una struttura a incastro per cui una storia ne contiene un’altra, come nelle scatole cinesi, e in un cinema come quello italiano, spesso decisamente realistico, una simile impostazione ci aiuta a sfondare la cosiddetta “quarta parete” e a dotare il racconto di un rilievo quasi onirico. Nessuno di noi, suggerisce il film, può immaginare quanto ci sia di vero o di falso in una favola che ci viene raccontata. Ed è questo ad apparentare la vita ai sogni. Vorrei segnalare una curiosa coincidenza: ho assistito nel cinema Farnese, a Roma, alla prima del film “Una nobile causa” due giorni dopo aver terminato la stesura del mio nuovo romanzo, “Aggettivo Possessivo”, un noir che ha per sfondo l’agghiacciante fenomeno del femminicidio. Questo significa una sola cosa: scrivere è la mia vita».
 
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