Tra modernità e tradizione la giusta via per far crescere il territorio

Tra modernità e tradizione la giusta via per far crescere il territorio
di Chiara MONTEFRANCESCO
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Lunedì 17 Aprile 2017, 17:16 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 19:34
Il futuro remoto? Un microcomputer nel nostro cervello. Ma già tra dieci anni gli smartphone apparterranno al passato. Così dicono i futurologi. Le immagini e le informazioni arriveranno direttamente al nostro cervello e ai nostri occhi attraverso cuffie o occhiali che indosseremo e che le proietteranno per noi, intorno a noi. Ovunque saremo. Non più televisori o schermi. E i frigoriferi ci comunicheranno cosa manca mentre gli assistenti virtuali, Siri o Bixby, diventeranno dei veri e propri angeli custodi a nostra disposizione. Con cui interloquire. Le macchine guideranno gli uomini e questi dovranno inseguire la tecnologia per essere al passo con i tempi e dialogare con esse.

Una nuova babele dunque all’orizzonte? Una nuova diaspora universale? Beh, il tempo per governare i cambiamenti epocali c’è. Ed anche l’antidoto. Coniugare modernità e tradizione mantenendo entrambe ben ancorate alla realtà. E alla nostra capacità critica. Siamo nel tempo della quarta rivoluzione, quella della digitalizzazione e della intelligenza artificiale che cambia il modo di produrre e di vivere, ma lascia nelle nostre mani e nei nostri cervelli la facoltà di guidare e costruire il domani, anche remoto. Certo dovremo cominciare ad investire molto e selezionare con rigore gli interventi, per mettere in moto e alimentare un processo virtuoso di sviluppo, in alternativa alle visioni pauperistiche della decrescita più o meno felice e della redistribuzione egualitaria a somma zero del Pil nazionale. Puntando sulla ricerca scientifica per non perdere i contatti. Ma anche sulla formazione e sulla educazione. La prima per sviluppare le professioni ed i mestieri del futuro, necessari per rimpiazzare il vecchio mondo in via di estinzione, la seconda per conservare ed affinare la nostra capacità di scelta sempre più necessaria per sventare i rischi di una nuova Babele, ma anche le derive di una deresponsabilizzante demagogica che già oggi si sovrappone alla complessità della vita e delle sue complicazioni. Prima fra tutte la fuoriuscita definitiva dalla crisi economica che ancora continua a mordere.

Ed allora, piuttosto che perdersi dietro le chimere di un nuovo welfare fatto di falso egualitarismo e formule tanto fumose quanto inutilmente dispendiose e destinate ad inaridire le stesse fonti di produzione della ricchezza nazionale, sarebbe meglio concentrare le risorse su progetti ambiziosi in grado di rimettere in moto i meccanismi dello sviluppo. Pochi ma destinati ad aprire il futuro alle nuove generazioni, in termini di ricerca e nuove conoscenze oltre che di impatto con la domanda di nuovi profili professionali, già oggi sollecitati dalla digitalizzazione dei processi economici e produttivi.

Meglio sarebbe che il Def (Documento di economia e finanza), varato in settimana dal governo e ora in via di approvazione in sede parlamentare ed i bilanci delle istituzioni locali in via di approntamento in queste settimane, puntassero all’obiettivo di sostenere, sul versante del lavoro, i giovani, l’innovazione, con un’attenzione particolare nei riguardi dei comparti tradizionali dell’economia. Determinanti soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia. Ed in Puglia. I successi del comparto vinicolo pugliese al recente Vinitaly di Verona sono lì a sottolineare per un verso la consistenza del settore e per l’altro le enormi prospettive ancora aperte. Gli 85.000 ettari di terreno coltivati a vigneto in Puglia, sono una ricchezza straordinaria. Così come lo sono gli oltre ottanta milioni di piante di olivo che coprono il territorio pugliese (e che vanno tutelati con ogni necessario intervento ed estrema decisione e senza perdere ulteriore tempo). È sulla salvaguardia delle produzioni mediterranee e del made in Italy che si gioca gran parte del futuro del Mezzogiorno e della Puglia. Non solo per il destino dell’agricoltura, ma anche per i destini del turismo e della valorizzazione storica e culturale oltre che ambientale dei suoi territori. E qui vanno ricordati, accanto ai successi del Vinitaly anche i successi della Bit (Borsa internazionale del turismo) di Berlino.

Stimolare gli investimenti ed il ritorno dei giovani ad una agricoltura moderna fortemente integrata con l’offerta turistica legata alla fruizione del territorio e alla valorizzazione delle sue produzioni agricole e agroindustriali, diventa un obiettivo prioritario che deve affiancarsi con l’altro obiettivo, legato allo sviluppo di un comparto manifatturiero tecnologicamente all’avanguardia fortemente sostenuto nella sua corsa verso la quarta rivoluzione.

Portare la produzione del Pil complessivo di questi comparti a valori prossimi al 30% rispetto ai valori attuali (ben al di sotto del 20%) significa, secondo gli analisti, raddoppiare l’occupazione, e irrobustire straordinariamente l’intero sistema economico e sociale del territorio che deve, per guardare positivamente al proprio futuro, poter contate su un mix vincente di tradizione e modernità, di tecnologia avanzata e di biodiversità, di appeal culturale e territoriale, di proiezione internazionale e di vocazione locale a chilometro zero.

D’altra parte è noto che la solidità di un sistema sociale è intimamente legata alle prospettive di crescita economica del suo habitat. Solidità sociale e crescita economica rappresentano, insieme, un argine irrinunciabile alla fuga dei giovani in cerca di futuro, ma anche un antidoto alla frustrazione di chi rimane. E alle tentazioni delle facili e pericolose scorciatoie politiche ed istituzionali.

In troppi oggi si vive il rischio di diventare prigionieri del desiderio di farla pagare a qualcuno, anche a prescindere, nella ricerca di un mondo senza arrovellamenti e complicazioni, a due dimensioni, come sottolineato da Roberto Cotroneo in un suo recente e pregevole intervento sulle derive del web. In situazioni di crisi perdurante e asfissiante e di assenza di prospettive, prevale e si diffonde sempre di più il convincimento che ciascuno possa cercarsi o crearsi le proprie verità sul web, partendo dai propri convincimenti e interessi se non dalle proprie pulsioni. Sulla rete virtuale, spesso sprovvista di qualsivoglia protezione e filtro al di fuori della capacità critica di chi ci naviga, è estremamente facile che il mondo perda di profondità. Tutto viene giocato su assi ortogonali che escludono la terza o la quarta dimensione. È vero ciò che mi interessa e a cui io credo (o voglio credere). E allora non c’è bisogno di studi, ricerche o approfondimenti. Né di impegni defatiganti. La complessità copernicana del mondo e dello spazio? Non ha senso nel marasma generale. Meglio la visione tolemaica. Il mondo circoscritto a quel che si vede.

E allora? Se vogliamo che la rete ed il Web siano oggi strumento di conoscenza e non di deriva rinunciataria e se vogliamo che il futuro, con la “stringa neutrale” della intelligenza artificiale destinata a espandere le potenzialità del nostro cervello, non conduca l’umanità ad una nuova Babele, l’antidoto non può che essere l’ancoraggio della quarta rivoluzione alle vocazioni, storia, cultura, economia del territorio. È da lì che bisogna partire. O ripartire. Per salvaguardare il nostro presente e garantirci il domani.
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