Spettacoli a Rudiae nell’anfiteatro dopo duemila anni

Spettacoli a Rudiae nell’anfiteatro dopo duemila anni
di Renato MORO
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Domenica 3 Luglio 2016, 11:53 - Ultimo aggiornamento: 18:26

Era sempre una festa il giorno dello spettacolo. I quartieri di Rudiae si svuotavano in poco tempo, i ragazzini giocavano in strada inseguendo i cavalli e i più fortunati riuscivano anche a vedere le belve trasportate, nelle gabbie, sui grandi carri. Gli adulti lasciavano il lavoro e le case e prendevano le strade che portavano dove il grande lacus aveva lasciato il posto all’anfiteatro. I romani lo avevano costruito lì, al centro della città fondata dai messapi, perché utilizzando una depressione del terreno avrebbero risparmiato un bel po’ nel realizzare le scalinate: fu così che il denaro donato da Otacilia Secundilla, figlia di un ricco senatore della Roma imperiale, bastò per portare a termine i lavori. Lì nella Rudiae romana, col sole alto e i resti delle mura messapiche ormai crollate al di là dei campi, ci si riuniva nella grande piazza in attesa di entrare nell’anfiteatro. Il popolo, dalle strade che si snodavano attorno, accedeva ai piani alti della gradinata, la summa cavea, mentre i notabili scendevano nei corridoi di accesso, i due aditus, s’infilavano sotto l’arco che portava alle scale e poi sedevano sui primi gradoni, l’ima cavea, praticamente a contatto con l’arena.
 

 

Da uno di quei corridoi i servi facevano scendere i grandi carri che trasportavano le belve per lo spettacolo. A Rudiae non c’erano sotterranei da cui far uscire gladiatori e animali. Durante la prima fase degli scavi, quando hanno ripulito il primo aditus da pietre e terra accumulatesi in duemila anni (il secondo sarà liberato tra qualche settimana), gli archeologi hanno trovato sul pavimento, proprio all’ingresso dell’arena, il taglio nella pietra nel quale andava a chiudere una sorta di saracinesca. Era la porta di sicurezza per impedire la fuga di animali e forse anche dei gladiatori chiamati a combattere davanti al pubblico.
Gli scavi a Rudiae procedono senza intoppi e rispettando i tempi programmati. E già questo è un fatto eccezionale in una regione dove i siti archeologi spesso - molto spesso purtroppo - finiscono nell’abbandono trasformandosi in discariche abusive.

Qui, da dove Quinto Ennio partì per conquistare Roma con i suoi versi rivoluzionari, si lavora senza perdere tempo e soprattutto si hanno le idee chiare sui tempi da rispettare. Ed è così che Francesco D’Andria, archeologo e docente di Unisalento, può avventurarsi in una promessa: tempo un anno e gli scavi saranno ultimati, la zona potrà essere visitata e l’anfiteatro potrà ospitare pubblico e artisti. Sarà il secondo anfiteatro di Lecce, particolare che nessun’altra città può vantare, un po’ più piccolo di quello situato in piazza Sant’Oronzo (che comunque in parte resta sepolto sotto il piano stradale) e molto somigliante a quello di Lucera, capace di ospitare migliaia di spettatori. Ottomila ai tempi della Rudiae romana, che negli anni di maggior splendore deve aver raggiunto e superato i 10mila abitanti. Un po’ di meno domani, perché le prescrizioni in materia di sicurezza sono ovviamente cambiate. E sarà uno spettacolo nello spettacolo entrare nell’anfiteatro, conservatosi intatto anche se i lastroni di pietra che rivestivano le gradinate sono stati in parte sottratti e trasportati fino a Lecce per costruire i palazzi del centro storico. Attorno gli ulivi fanno da cornice e i muretti a secco circondano l’area dello scavo.
Accanto all’anfiteatro c’è un terreno che tutti chiamano “fondo dell’acchiatura”. Facile comprenderne il motivo, visto che quel suolo corrisponde alla grande piazza dove duemila anni fa gli abitanti di Rudiae erano soliti riunirsi. Prima di poter entrare nell’anfiteatro per assistere allo spettacolo, oppure per assistere ad una manifestazione. Sulla piazza si affacciavano gli edifici pubblici e un tempio e nei dintorni c’erano le botteghe dei commercianti. Su quel terreno affiorano ancora oggi testimonianze di quei tempi. Ci cammini e spesso inciampi in frammenti di terracotta: come potevano non chiamarlo “fondo dell’acchiatura”?
La più importante “acchiatura”, almeno quella fin qui conosciuta, si concretizza in una fredda mattina del gennaio 2015. Tra le pietre e i detriti che chiudevano fino all’orlo dei muri il corridoio di accesso, spunta una statua togata. Mancano la testa e la parte dei piedi, ma la sorpresa degli archeologi è enorme: probabilmente rappresentava un imperatore e forse faceva parte di un gruppo di statue che circondavano l’anfiteatro. Il secondo corridoio di ingresso è ancora da svuotare e non è detto che anche lì non spuntino i resti di altre statue. Di certo c’è che i romani trasformarono Rudiae così come cambiarono il volto a tante altre città. «E nelle città romane - racconta Francesco D’Andria - le statue di marmo non mancavano mai. Erano il simbolo del potere di Roma».
A Rudiae e Lupiae, l’antica Lecce, la storia offre oggi una nuova occasione di incontro. Perché proprio da Lecce, dalla sua amministrazione e dalla sua Università, dipenderà il futuro del parco archeologico. Scavare non basta, come non basterà riportare alla luce ciò che è ancora interrato e mettere in sicurezza l’area. Ne è convinto D’Andria, il quale sul punto qualche idea ce l’ha già. «Il nostro obiettivo - dice - è sì riportare alla luce questa meraviglia, ma è chiaro che poi occorrerà pensare alla fruizione. Non avrebbe senso avere un anfiteatro come questo, praticamente intatto, e non utilizzarlo. Penso agli spettacoli che si potranno organizzare, alle sere d’estate in cui la magia di questi luoghi potrà attrarre in massa leccesi e turisti. Penso a eventi legati al mondo del cinema, del teatro e della musica. Insomma, è importante che i leccesi, i salentini tutti vedano questo luogo come loro proprietà. Come appartenente a loro».
Anche Luigi La Rocca, il sovrintendente all’Archeologia per la Puglia che segue gli scavi, è convinto che la vera scommessa, una volta che i lavori saranno terminati, è nella fruizione. «In teoria potrebbe essere pronto per l’estate prossima - dice -. I lavori stanno proseguendo senza ostacoli e i finanziamenti ci sono. È chiaro che per una struttura così antica e delicata gli interventi non si esauriranno mai, come anche lo studio degli archeologi, ma - una volta finito il consolidamento e la messa in sicurezza - il Comune dovrà provvedere alla fruibilità».
All’ingresso del parco, proprio di fronte al cancello dell’istituto agrario “Columella”, è già pronta una struttura che ospiterà gli uffici ma anche alcuni laboratori. Perché un’altra certezza è che da qui passeranno le future generazioni di studenti. «Questo scavo - spiega La Rocca - ha un’importanza eccezionale. Mai è accaduto che un anfiteatro venisse riportato alla luce con le tecniche e le tecnologie che abbiamo oggi a disposizione. Quello di piazza Sant’Oronzo, per fare un esempio, è il prodotto degli scavi compiuti negli anni Venti. Questo cantiere fa e farà scuola». Come dire: un’altra occasione da cogliere al volo per Unisalento.
Le idee, dunque, non mancano.
Come non mancavano - anzi, lui le aveva e soprattutto le aveva molto chiare - a Quinto Ennio quando lasciò la città per raggiungere Roma in cerca di fortuna. A Scipione l’Africano che lo accolse nella sua casa, offrendogli protezione, raccontò di avere tre anime perché conosceva il latino, il greco e l’osco. E prima di stupire tutti con i suoi esametri raccontò della sua Rudiae e del suo viaggio, dei costumi e delle vicende della sua città che aveva riunito sotto lo stesso cielo messapi e romani. Luogo di incontro di culture come ancora oggi il Salento vuole porsi. Francesco D’Andria annuisce ma va anche oltre: «Pensate - dice - che probabilmente mentre i cittadini di Rudiae riempivano queste gradinate per assistere ai combattimenti tra gladiatori o alla caccia alle belve, in qualche casa di periferia si consumava già il rito delle tarantate». Ecco: mancava il ragno. Ora Rudiae può tornare a vivere.

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