Uccise la moglie a Perugia, tenta il suicidio in carcere

Uccise la moglie a Perugia, tenta il suicidio in carcere
di Salvatore MORELLI
3 Minuti di Lettura
Venerdì 12 Febbraio 2016, 09:39
Tenta il suicidio in cella e poi si procura ulteriori lesioni. Da qui il trasferimento nel reparto di osservazione psichiatrica della casa circondariale di Piacenza disposto per Francesco Rosi: arrestato il 25 novembre scorso a Perugia per aver ucciso a fucilate la moglie 40enne di San Donaci Raffaella Presta. L’uomo sarà seguito da un'equipe di specialisti. In tutto avranno trenta giorni di tempo per valutare le sue condizioni di salute. Il 43enne è tenuto sotto stretta sorveglianza 24 ore su 24.

Al di là delle precarie condizioni psicologiche, la procura di Perugia chiederà a breve il giudizio immediato per l'agente immobiliare, reo confesso. Quel maledetto pomeriggio Francesco Rosi si consegnò ai carabinieri, che lui stesso chiamò dopo aver sparato due colpi di fucile contro la moglie, una stimata avvocatessa. Scena del delitto non lontana dal bagno dove si trovava il figlio della coppia, di soli 6 anni. Al quale i magistrati hanno risparmiato lo strazio di dover rivivere quel terribile momento solo per confermare o smentire la versione del padre. Il piccolo non entrerà mai in un'aula di tribunale.

Inoltre, in merito quanto espresso da Francesco Rosi sulla paternità del figlio (sostenendo che la moglie il giorno del delitto gli aveva apostrofato che non era suo) il giudice Valerio D'Andria - nel provvedimento con cui ha rigettato la richiesta di incidente probatorio - sostiene a sua volta che l'accertamento del Dna potrebbe sicuramente aiutare nella ricostruzione del contesto familiare in cui sono avvenuti i fatti, ma non avrebbe in ogni caso alcuna diretta rilevanza ai fini della prova degli accadimenti per cui si procede. E cioè l’omicidio.

«L’accertamento genetico - ha scritto il giudice motivando il rigetto - varrebbe a costituire riscontro delle dichiarazioni dell’indagato in ordine alle parole pronunciate dalla vittima prima di essere uccisa dal Rosi. A tale riguardo però va sottolineato come, pur potendosi ritenere senz’altro rilevante ogni indagine volta a chiarire la condotta tenuta dalla vittima immediatamente prima della condotta omicidiaria nel Rosi, l’accertamento richiesto non varrebbe di certo a fornire una prova diretta in merito».

Un provvedimento, questo, che chiude il capitolo Dna nell’ambito del femminicidio di Raffaella, già al centro di una dura presa posizione da parte del tribunale del Riesame che aveva rigettato la richiesta di scarcerazione di Rosi e “bacchettato” il ricorso illegittimo all’accertamento genetico. L'omicida si trova dal mese scorso nella sezione “Osservandi” del carcere di Piacenza, dopo che in carcere a Perugia aveva tentato gesti di autolesionismo, tentando inoltre di togliersi la vita impiccandosi.

Nonostante tutto, il pubblico ministero Valentina Manuali - titolare delle indagini - potrebbe presto procedere nei riguardi di Rosi verso il giudizio immediato. Per chiudere l’inchiesta mancherebbero solo alcuni accertamenti delegati ai militari del Ris, anche sull’arma. Uno dei dubbi da sciogliere resta legato al fatto che l’immobiliarista abbia sparato un primo colpo contro la moglie e poi, quando la donna era a terra (ma ancora viva), abbia ricaricato la doppietta, di proprietà del padre, per ucciderla con una seconda pallottola.
© RIPRODUZIONE RISERVATA