Sull’etichetta il dna di latte e formaggi: «Eravamo già pronti»

Sull’etichetta il dna di latte e formaggi: «Eravamo già pronti»
di Maurizio DISTANTE
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Giovedì 20 Aprile 2017, 11:51
In tempi di truffe alimentari di ogni tipo, conoscere l’origine dei prodotti che portiamo in tavola diventa di estrema importanza. Uno dei settori che maggiormente soffre questo tipo di situazioni è quello caseario: il latte e i suoi derivati, infatti, sono tra gli alimenti maggiormente colpiti dalla contraffazione. Per limitare al massimo il rischio di mettere in tavola un formaggio che si pensa italiano ma che magari è prodotto con latte proveniente da altri paesi, da ieri, a favore dei consumatori, è entrata in vigore una legge che dispone l’obbligatorietà dell’etichetta d’origine per il latte, i latticini e i formaggi.
La misura che intende salvaguardare il made in Italy prevede che su tutti i prodotti in vendita nei banconi dei supermercati e degli alimentari compaiano le voci “Paese di mungitura”, “Paese di condizionamento o trasformazione” del latte, e, se si tratta di un prodotto totalmente italiano, “Origine del latte: Italia”. Se, dunque, il formaggio, la burrata, la scamorza o la mozzarella sono totalmente prodotti in Italia, dal latte usato, al caseificio nel quale il liquido è lavorato, sull’etichetta comparirà solo l’indicazione sull’origine del latte; viceversa, se ci sono dei passaggi nel processo di realizzazione dei latticini che prevedono “escursioni” all’estero, l’etichetta dovrà riportare, a seconda dei casi, se il latte è stato munto, condizionato o trasformato in “Paesi Ue”, oppure in “Paese non Ue”.

Ad esempio, può capitare di comprare una scamorza la cui etichetta riporta “Origine latte: Italia” e “Origine cagliata: Ue”: questo significa che il prodotto è fatto con latte italiano e lavorato in Italia ma che durante la produzione, al momento dell’aggiunta della cagliata, si è ricorsi a un prodotto proveniente da uno dei paesi della Comunità Europea. Le nuove regole per le etichette si applicano a tutti i tipi di latte: quello vaccino, quello ovicaprino, quello bufalino e quello di altra origine animale, come quello d’asina, particolarmente indicato nella dieta dei lattanti poiché molto simile al latte materno in quanto a proprietà organolettiche.
Produttori e distributori delle nostre parti, in realtà, hanno anticipato i tempi di legge, consci dell’importanza che questo tipo di informazioni stanno assumendo negli ultimi anni: in molti casi, infatti, sulle confezioni o sugli involucri dei prodotti che acquistiamo c’è già l’indicazione dell’origine del latte o dello stabilimento di lavorazione. A Latiano, ad esempio, mozzarelle e formaggi freschi in vendita da “Lu Casu” di Palma Cecere, negozio specializzato in formaggi e salumi di qualità, provengono da un’azienda di Alberobello, la “Malù”, che alleva le mucche in una masseria attigua al caseificio dove il latte è lavorato, un esempio di filiera cortissima: da oltre un anno, sulle confezioni dei latticini c’è già l’indicazione dell’origine del latte, ovviamente italiano, a garanzia della provenienza locale del prodotto, sin dalle fasi di mungitura delle vacche.
L’entrata in vigore della legge, vista la grande attenzione posta sulla questione dai produttori di latticini, almeno quelli locali, non ha fatto molto clamore tra i rivenditori che, in molti casi, già sapevano di essere a posto con le norme prima della loro entrata in vigore. «Non ricordavamo di preciso quale giorno sarebbe divenuta operativa la direttiva – spiegano i titolari de “Lu Casu” - anche perché sappiamo che i nostri fornitori si erano attrezzati per tempo». Una tranquillità invidiabile che viene trasmessa al cliente quando si affaccia al bancone dei formaggi.

Ovviamente, non bisogna pensare che se l’etichetta dice che il latte usato non è italiano, il formaggio non è buono: basti pensare ai latticini francesi, tra i più rinomati del mondo, insieme ai nostri. La norma, infatti, riguarda la consapevolezza dell’acquisto e la repressione delle possibili truffe alimentari: se, infatti, si acquista un formaggio spacciato per Parmigiano Reggiano e l’etichetta, invece, riporta una lavorazione straniera o, addirittura, la nazione di origine del latte diversa dall’Italia, si può star ben certi che quello non è un Parmigiano ma un’imitazione ma se si opta per l’acquisto di un Rodez, che è francese, non ci si può aspettare che l’etichetta riporti “Italia” come paese d’origine. «Ben vengano le etichette, che i nostri fornitori già usano da tempo – spiega Raffaele Gargarelli, titolare de “La casa del Parmigiano” di viale Commenda – anche perché un prodotto come il Parmigiano, ad esempio, è da tutelare: nessun altro formaggio, infatti, può paragonarsi al Parmigiano poiché il suo disciplinare è talmente restrittivo che, semplicemente, non si può replicare».
 
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