Sentenze light: primo caso a Torchiarolo

Sentenze light: primo caso a Torchiarolo
di Roberta GRASSI
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Lunedì 29 Agosto 2016, 08:56 - Ultimo aggiornamento: 12:21
Il caso specifico è costituito da una sentenza recente della Corte di Cassazione con cui è stato rigettato il ricorso del legale di due indagati di Torchiarolo ai quali è stata sequestrata una somma di denaro ritenuta il provento dell’attività di spaccio. Una sentenza in forma “light”. Motivazione semplificata, solo tre pagine.
Via al dibattito. L’avvocato, Ladislao Massari, ritiene che la forma sia lesiva del diritto di chi è coinvolto nella vicenda di conoscere dettagliatamente le ragioni di un provvedimento. Un’altra toga, il pm Milto Stefano De Nozza, sostituto procuratore a Brindisi, introduce spunti di riflessione differenti. Opposti per alcuni versi: “Semplificare non è banalizzare. La sintesi è un’abilità. Così si riduce la durata dei processi”.

Tesi diverse per un’unica questione che non riguarda solo le sentenze, come è per il caso della Corte di Cassazione su Torchiarolo. Ma anche i provvedimenti restrittivi, le ordinanze di custodia cautelare. Tutto ciò che viene scritto e prodotto in un palazzo di giustizia.
La dialettica trae spunto da un fatto concreto: una decisione della Suprema corte su una vicenda brindisina.
Gli imputati sono due: Cosimo Perrone e Katia Luceri, 33 e 32 anni, difesi dall’avvocato Ladislao Massari. Si parla, in fase cautelare, del sequestro di una somma in danaro.
I sigilli vengono sottoposti nel corso di una perquisizione. L’importo è ritenuto dagli investigatori il provento dell’attività di spaccio. Perrone è il figlio di Patrizio, noto alle forze dell’ordine, la donna è la compagna. Entrambi gestiscono un bar. L’avvocato Massari propone riesame al Tribunale di Brindisi ma l’impugnazione viene rigettata. I magistrati sostengono in astratto che il denaro possa essere riferibile alle attività illecite, anche quelle di Patrizio Perrone. Il legale a quel punto non cessa di battagliare. Ricorre per Cassazione, sostenendo che nel ricostruire la vicenda sia stato saltato un passaggio rilevante. Non è possibile affermare che i soldi derivino da attività illecite: Cosimo Perrone non è coinvolto nello stesso procedimento del padre. Vengono sollevate questioni non di merito, ma puramente procedurali. La Cassazione chiude il caso in tre pagine. Una motivazione “semplificata”, per l’appunto. Come da direttive. Il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Le direttive sono recenti, risalgono allo scorso maggio: a dare la stura ai provvedimenti in versione light, un po’ come per i programmi e le app dello smartphone, un decreto del primo presidente della Suprema Corte, Giovanni Canzio che riguarda l’adozione della cosiddetta motivazione semplificata nella stesura delle sentenze penali.
Preso atto di un “elevatissimo numero di ricorsi penali ogni anno iscritti presso la Cassazione (53.539 nel 2015)”, si legge, nonché del fatto che “molti ricorsi non sono rilevanti ai fini dell’esercizio della funzione di nomofilachia (il compito di garantire l’osservanza della legge, ndr), in quanto sono sollevate questioni la cui soluzione comporta l’applicazione di principi già consolidati”, il primo presidente ha disposto che i collegi delle sezioni penali possano ricorrere alla cosiddetta motivazione semplificata.
Tale motivazione “Dovrà comunque fornire - si legge - una spiegazione della ratio decidendi riferita alla fattispecie decisa, pur se espressa in estrema sintesi”. La deliberazione di adottare la motivazione semplificata è assunta dal collegio che decide il ricorso e ne dà atto sia nel dispositivo che nell’epigrafe della sentenza. I presidenti di sezione “devono indicare nell’ambito dei rapporti informativi per la valutazione delle professionalità del magistrato tra i dati che assumono rilievo positivo, la capacità del magistrato di redigere sentenze in forma semplificata”. E infine “con cadenza trimestrale devono comunicare alla prima presidenza il numero di sentenze redatte dai consiglieri della sezione in forma semplificata”.
 
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