Ferite, ustioni e abusi: ma ora le donne chiedono aiuto

Ferite, ustioni e abusi: ma ora le donne chiedono aiuto
di Tea SISTO
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Giovedì 30 Giugno 2016, 10:23 - Ultimo aggiornamento: 14:32
La maggior parte di loro, delle vittime che hanno avuto la forza di chiedere aiuto, è di nazionalità italiana e ha un’età compresa tra i 40 e i 49 anni. Seguono a ruota le ultratrentenni e le più giovani. Ma c’è anche chi a 50, 60 o addirittura 70 anni suonati, dopo una vita di inferno vissuta in coppia, non ce la fa più e invoca soccorso.  Tante hanno in tasca un diploma, ma non mancano le laureate. Sì, perché la violenza sulle donne, psicologica o fisica che sia, da parte di mariti, fidanzati, compagni, amanti ed ex di tutti questi ruoli, non è un fenomeno solo delle classi sociali ai margini. La pericolosa tendenza a un controllo totale sulle donne, quelle che vengono considerate “cosa propria”, può riguardare tutti e tutte. Le cronache delle ultime settimane, anche molto vicine a noi, lo hanno dimostrato. E lo rivela, ancora una volta, il report annuale del Centro antiviolenza di Brindisi gestito dall’Associazione Io Donna. Il campione è di 45 donne, di tutte le età, che si sono rivolte al Centro lo scorso anno. “Non si tratta di donne sprovvedute, prive di strumenti culturali ed economici, ma di donne che si fidano e delegano completamente ai loro partner, insegnanti, impiegate, braccianti agricole, professioniste”, vi si legge. Alcune sono state mandate dai carabinieri, altre dai servizi sociali. Altre ancora si sono mosse in autonomia, quasi timidamente, per richiedere informazioni. In genere sono sposate o separate e hanno un lavoro precario oppure non lo hanno affatto. E qui scatta anche il ricatto economico da parte dell’uomo. Molte hanno raccontato di aver subìto prima una violenza psicologica che si è trasformata dopo in aggressione fisica, botte, per intenderci con varie modalità: spintonare, colpire, schiaffeggiare, percuotere, strangolare, tirare i capelli, provocare ferite con calci, ustioni, uso di armi contundenti. In alcuni casi c’è stata violenza sessuale. I mariti sono al primo posto di questa dolorosa classifica, seguiti dagli ex. Alcune donne rivoltesi al Centro hanno denunciato episodi molto gravi come tentativi di strangolamento, pugni dietro la nuca per non lasciare i segni, tentativi di uscire fuori strada con l’auto, in un caso tentato omicidio con un masso dopo che l’uomo (marito) aveva condotto la donna in auto in aperta campagna, rottura del coccige a seguito di uno spintone. Due donne hanno subito fratture del setto nasale in seguito ad un pugno. Il periodo della gravidanza e la nascita di un figlio, è un momento critico, presumibilmente per le difficoltà dell’uomo di pensarsi nel ruolo di padre assumendosi la responsabilità del figlio e di tollerare di dover dividere col nascituro l’attenzione della partner.
Vogliono essere ascoltate le donne, vogliono qualcuno a cui poter raccontare ciò che subiscono. Chiedono assistenza legale, psicologica, un alloggio nel quale poter vivere lontano da mostro. E, soprattutto, una buona metà di loro, delle vittime, decide di presentare formale denuncia alle forze dell’ordine, soprattutto se appena curate dai medici del pronto soccorso. «Macché raptus, quale follia? Per quale motivo si continua a concedere falsi alibi a uomini che picchiano, stuprano, strangolano, accoltellano le donne, quando non hanno una pistola a portata di mano? Troppo comodo parlare di raptus. La nostra esperienza ci dice che è esattamente il contrario. Gli uomini violenti, che rivendicano il controllo totale sulle loro compagne o ex compagne di vita, hanno sempre un passato sul quale indagare. E’ un continuo di aggressioni verbali e fisiche, spesso denunciate e non prese in considerazione. Un’escalation di violenza che può portare all’omicidio», dichiara Lia Caprera, responsabile del Centro Antiviolenza. «Il dato positivo rispetto agli anni precedenti è l’aumento delle denunce».
«Quelle vite vissute nell’inferno portano a conseguenze gravi sulle vittime donne», spiega Emanuela Coppola, psicologa del Centro Antiviolenza. «Parliamo di stress estremo, di disturbi del sonno, di disturbi dell’alimentazione, di perdita di capelli perché spesso non c’è solo la paura per se stesse, la consapevolezza di una vulnerabilità, ma anche la preoccupazione per i figli. Abbiamo rilevato che i figli di 13 donne hanno assistito alle violenze familiari». E ancora: «La violenza psicologica è una forma più subdola e sottile, più difficile da riconoscere,incide sul benessere emotivo della vittima e si caratterizza per atti lesivi della libertà e dell’identità. Consiste in comportamenti, azioni e parole che minano e mettono in pericolo l’autostima, come insulti, controllo, minacce, isolamento, minaccia di morte o di suicidio. La violenza psicologica inoltre è fatta di ricatti, pressione psicologica a mezzo di danneggiamenti di oggetti o sevizie sino all’uccisione di animali domestici. Alcune di queste donne mostrano di non riconoscere questi comportamenti come violenti, tendono a sminuirli. Se gli aggressori sono ex che non vogliono accettare l’abbandono, le donne hanno paura ad uscire di casa. Si assentano persino da facebook, rinunciano alla vita sociale, sia reale che virtuale, si isolano”. Altra conferma: molte donne continuano a vivere o a sopravvivere nell’umiliazione e nel pericolo.
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