Fallimenti: confermato il sequestro dei documenti

Fallimenti: confermato il sequestro dei documenti
di Roberta GRASSI
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Sabato 22 Luglio 2017, 05:55 - Ultimo aggiornamento: 12:16
Che non si trattasse di un decreto di sequestro come tutti gli altri, un semplice atto dovuto, ma di un provvedimento emesso nell’ambito di un’inchiesta molto delicata - considerate le figure coinvolte - lo hanno dimostrato le tre ore di discussione di pm e difensori e le cinque ore di camera di consiglio di ieri. Alla fine il Tribunale del Riesame di Brindisi (presidente Domenico Cucchiara) ha confermato i sigilli posti dal pm Raffaele Casto al materiale prelevato nello studio di commercialisti e avvocati, oltre che di un giudice tributario. Persone che a vario titolo risultano fra i 19 indagati in una maxi indagine sulle procedure fallimentari del Tribunale di Brindisi. Nei capi d’accusa figurano infatti anche i nomi di due giudici che non risultano indagati, ragion per cui le difese (avvocati Massimo Manfreda, Roberto Palmisano, Gianvito Lillo e Vito Epifani), avevano anche chiesto al Riesame di valutare se fosse la procura di Potenza a dover procedere, in quanto competente sia nel caso in cui ci siano profili di responsabilità attribuibili a magistrati brindisini, tanto nella circostanza in cui essi rivestano ruolo di persone offese. Il collegio giudicante ha opposto un rigetto. Il fascicolo resta a Brindisi: le ragioni le si apprenderanno una volta note le motivazioni.
Il cosiddetto “fumus” dei reati ipotizzati c’è tutto, secondo il Riesame. Un quadro indiziario sufficiente per consentire a finanza e pm di continuare a scavare, verificando il contenuto delle carte e dei supporti informatici che sono stati prelevati. E raffrontandone il contenuto con quanto emerge dalle intercettazioni telefoniche che fanno parte del fascicolo d’inchiesta, messo a disposizione dei legali (nelle parti che riguardano le persone perquisite) proprio in virtù dei ricorsi che sono stati formulati.
Le difese impugneranno la decisione del Riesame, sull’ordinanza dovrà quindi esprimersi la Corte di Cassazione. Bisognerà però attendere le motivazioni, considerato che ieri è stato unicamente emesso un dispositivo. L’inchiestona tratta di accuse di bancarotta fraudolenta, falso e corruzione. Il fascicolo è del pm Raffaele Casto ed è nelle sue fasi iniziali. Sono stati eseguiti il 3 luglio scorso decreti di perquisizione e sequestri da parte della finanza del Nucleo di polizia tributaria. Contestualmente sono state notificate delle informazioni di garanzia.
 
La narrazione contenuta in 14 capi d’accusa. Si parte dalla falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico a seguito di errore determinato dall’altrui inganno. Sono coinvolti un imprenditore, un avvocato e un commercialista, oltre che un funzionario della direzione di Brindisi dell’agenzia delle entrate.
Si parla di favori, vantaggi in cambio di atti contrari ai doveri d’ufficio. Di procedure non pilotate, ma “ritoccate” per risultare favorevoli alle aziende assistite dai professionisti facenti parte del presunto sistema. Alcuni degli indagati sono stati ascoltati, al fianco dei propri difensori, dal sostituto procuratore che indaga. E hanno fermamente negato ogni responsabilità fornendo anche documentazione per dimostrarlo. L’avvocato Massimo Manfreda, che difende il giudice tributario, ha depositato nella cancelleria del pm una corposa memoria difensiva. Al suo assistito viene contestato di aver preso denaro o altre utilità per favorire i clienti di due avvocati dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Brindisi. Poi c’è il fallimento della Taf Pneumatici, ammessa al concordato preventivo e quindi salvata dal crack in modo non regolare secondo l’accusa. Rispondono di bancarotta fraudolenta commessa dall’amministratore di società ammessa al concordato preventivo i due legali rappresentanti, un avvocato che avrebbe percepito un corrispettivo di 83mila euro da inserire nei crediti prededucibili, due commercialisti, un uomo e una donna. Vi sarebbe stato occultamento dei beni immobili e immobili, tra l’altro di due società cinesi, e sarebbero stati “dissipati” i beni della società. Oltre a venire concessi in locazione tre rami d’azienda.
C’è poi un altro professionista, il commissario giudiziale nominato dal Tribunale nella procedura Taf, che risponde di omessa denuncia di reato, corruzione per l’esercizio della funzione per aver promesso e dato denaro o altra utilità (un involucro che aveva necessità di essere sorretto a due mani) a un funzionario dell’Agenzia delle entrate in cambio di presunti favori.
Quindi un altro dipendente, sempre dell’Erario che risponde di rivelazione di segreti d’ufficio e induzione indebita a dare o promettere utilità. Infine un luogotenente della guardia di finanza che avrebbe accettato la promessa di “denaro o altra utilità”, poi ricevuto, compiendo atti contrari ai doveri d’ufficio.
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