Gianbruno Ruello ha indossato l’uniforme dei carabinieri subito dopo il diploma. Di quella passione per l’Arma parlava spesso con i suoi compagni di scuola del Liceo classico Archita di Taranto. Una generazione di ragazzi giusti. Quelli che al fianco del celebrato busto di Archita, nelle scale del Ginnasio, scambiavano due chiacchiere e immaginavano il futuro. Gli stessi con i quali questo ragazzone tarantino giocava a basket nella palestra di fortuna dello storico liceo. E incontrava il sabato sera in piazza della Vittoria.
Gianbruno la sua scelta l’aveva fatta già da giovanissimo. A diciotto anni e con il diploma di maturità in tasca era salito sul treno e si era arruolato come sottufficiale nell’Arma. Per lui subito il corso nella scuola di Velletri e poi la destinazione con gli alamari nuovi di zecca. «Era un ragazzo a modo e amante delle regole. A scuola parlava delle istituzioni con rispetto. Una serietà di fondo - raccontano gli amici dell’Archita - che non gli impediva di essere un compagnone allegro. Uno sempre pronto alla risata e sul quale contare». Ecco quindi che il carattere docile e rispettoso ha lasciato immutato l’affetto con i compagni di scuola che ieri non si davano pace per quanto accaduto. Nel pomeriggio gli amici di sempre, da mezza Italia, si sono attaccati a facebook e ai cellulari alla febbrile ricerca di notizie. Tutti uniti nel desiderio di riabbracciare il prima possibile Gianbruno. Eppure lui Taranto l’aveva lasciata appena diciottenne per inseguire il sogno di quella divisa. In città lo si incontrava saltuariamente quando tornava a far visita ai genitori, scomparsi di recente, oppure ad assistere alle tradizionali processioni della Settimana Santa.
Dopo la scuola militare, per lui, subito una destinazione difficile in Sicilia. Quel ragazzone tarantino fu uno dei primi ad accorrere a Capaci il giorno della strage in cui il tritolo spazzò via con la forza di un uragano la vita del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta. Le oramai sbiadite immagini dell’epoca consegnano più di un passaggio con quel carabiniere che si aggira tra le macerie che ferirono tutto un paese. «Quella strage - racconta un amico di scuola - finì per cementare il suo senso del dovere».
Una vita in divisa e le macerie di Capaci:
chi è il capitano mandato in coma dal proiettile
di Mario DILIBERTO
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Domenica 29 Maggio 2016, 09:12 - Ultimo aggiornamento: 21:45
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