I medici contro l’Asl: «Si copre lo sfascio»

I medici contro l’Asl: «Si copre lo sfascio»
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Lunedì 23 Maggio 2016, 06:56 - Ultimo aggiornamento: 14:46
Non ci stanno, i medici, a recepire passivamente il ragionamento proposto dal direttore generale dell'Asl di Brindisi, Giuseppe Pasqualone, sui compensi percepiti dai professionisti della sanità locale, recentemente pubblicati nella sezione dedicata all'amministrazione trasparente del portale online aziendale. A partire dalle modalità di pubblicazione dei dati, che non risponderebbe, secondo i medici stessi, alla legge sulla tutela della privacy, fino alla proporzionalità della retribuzione secondo una scala gerarchica che vedrebbe in cima, come in ogni altra azienda, i suoi vertici. Le sigle sindacali del mondo medico, Cimo, Anao, Ampo e Cgil, hanno voluto rispondere a quelle che sono considerate delle accuse infondate alla categoria che, quotidianamente, è esposta a stress e responsabilità derivanti anche dalle decisioni prese dai manager di stanza in via Napoli. E in sostanza affermano che alcuni medici guadagnano più dei direttori è perché sono sottoposti a un lavoro straordinario del quale, magari, farebbero pure a meno.
 
«I medici ospedalieri - si legge in una nota congiunta dei sindacati di categoria - vengono definiti “paperoni”, come apparso sulla stampa, arricchiti grazie ai doppi turni: sono stati gli stessi medici e i loro sindacati a condannare il ricorso a turni aggiuntivi come surrettizia forma di elusione delle assunzioni, necessarie a coprire i sempre più vistosi buchi degli organici». Sarebbe la stessa azienda, quindi a pretendere i turni aggiuntivi per sopperire alla cronica carenza di personale che inficia la qualità del servizio offerto. «I cittadini devono sapere che i medici chiedono che vi sia il turnover e che chi va in pensione venga prontamente sostituito».
Altro punto di disaccordo tra professionisti e dirigenza è rappresentato dalle cifre: secondo i medici, le somme riferite all'attività libero professionale riportate sul portale non tengono conto di alcune necessarie considerazioni. «Le buste paga dei medici dell'Asl di Brindisi sono fra le più “leggere” della regione, sia per la ridotta consistenza dei fondi aziendali che per la mancata applicazione di istituti contrattuali. Nel commento delle cifre, si ignora che le somme lorde riportate sono, per la libera professione intramoenia, comprensive della quota aziendale che, in alcune situazioni, sfiora il 60% della tariffa e che, mediamente, si attesta sul 35%. Quindi, è l'azienda a guadagnarci maggiormente».
Ai sindacati di categoria, poi, non è piaciuto affatto il riferimento all'esclusività del rapporto proposta dalla dirigenza, secondo la quale chi presta servizio in azienda non dovrebbe lavorare al di fuori di essa. «Si ignora che oltre il 93% dei medici dipendenti ha optato per l'esclusività di rapporto e che i pochi ancora in “extramoenia” non possono esercitare in strutture accreditate e che, pur rendendo l'intero orario di lavoro previsto, percepiscono uno stipendio notevolmente inferiore. L'azienda, che invece ha l'obbligo di allestire appositi spazi e fornire servizi dedicati, è colpevolmente inadempiente, tanto che più volte la Regione ha richiamato le direzioni generali. Dovrebbe essere un obiettivo per i Direttori generali che percepiscono anche un'indennità di risultato e i risultati sono sotto gli occhi di tutti».
I punti di attrito tra direzione e medici proseguono sul “quanto”: il direttore generale dell’Asl di Brindisi Giuseppe Pasqualone ha avanzato la tesi secondo la quale, per una questione di responsabilità più che di soldi, in nessun'altra azienda i vertici percepiscono cifre inferiori dei collaboratori. «Un direttore di unità complessa, il cosiddetto primario, ha seguito un lungo e faticoso percorso professionale che ha compreso un impegnativo corso di laurea di ben 6 anni, un tirocinio, una o più specializzazioni, concorsi, fra cui quello di idoneità nazionale al primariato, e ha dedicato decenni all'aggiornamento e alla pratica medico-chirurgica che hanno comportato sacrifici e spese, anche in termini di rinuncia a una “normale” vita sociale e familiare, anche a costo di trascurare la propria salute. Si deve altresì far osservare che, per poter fare il direttore generale è sufficiente avere una laurea qualsiasi e aver frequentato un corso parauniversitario di pochi mesi. Si sfida a incontrare, nelle poche industrie private con simili bilanci, manager posti a capo con criteri anche lontanamente assimilabili a quelli delle Asl».
Lo scontro, insomma, è frontale e totale: la chiusa dei sindacati è al vetriolo. «Il sospetto è che l'attacco ai medici sia un maldestro tentativo di trovare un capro espiatorio per distogliere l'attenzione da tutte le colpe politiche dello sfascio della sanità e di un piano di riordino che strangola il bisogno di salute dei cittadini. Non si vuole, però, portare a conoscenza lo scenario che si potrebbe delineare se la libera professione venisse abolita: la sanità pubblica perderebbe certamente i suoi migliori professionisti a beneficio delle case di cura, dove emigrerebbero portandosi il loro bagaglio di conoscenze, depauperando ancor più gli ospedali di esperienze qualificate e senza che ciò possa neppure lontanamente portare alla riduzione delle famigerate liste d'attesa, i cui allungamenti riconoscono ben altre cause».
 
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