Le lasagne, Antonio e quei tuffi a Cerano

Le lasagne, Antonio e quei tuffi a Cerano
di Francesca FILIPPI
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Sabato 23 Luglio 2016, 12:29 - Ultimo aggiornamento: 25 Luglio, 10:31
La lasagna e le melanzane di mamma Enza, la vecchia Polaroid di papà Luciano, i tuffi con i fratelli Giuseppe e Vincenzo nello specchio d’acqua di Torre San Gennaro, ad una manciata di metri da Cerano. Se chiude gli occhi e torna di nuovo bambino, Antonio Benarrivo, classe 1968, nato e cresciuto a Brindisi, la città dove alla fine degli anni ’70 muove i primi passi sui campi di calcio, rivede «quel fazzoletto di sabbia bellissimo, e dove con la famiglia trascorrevo ogni estate le vacanze. Un pezzo di Salento che non esiste più».

Cosa è cambiato?
«Oggi a pochi metri da quel luogo magnifico c’è la centrale Enel di Cerano. Quel lembo di spiaggia, eroso dal tempo, dal mare e dall’uomo, non esiste più se non nella mia memoria e in qualche foto ormai ingiallita che mostro ogni tanto ai miei figli Edoardo e Alessandro. Anche se da quel punto i tramonti sono ancora bellissimi e per questo ci porto i miei ragazzi. Voglio che vedano dove è cresciuto il loro papà».

Qual è il ricordo indelebile di quelle estati anni Settanta? O se, preferisce, un sapore?
«Sicuramente, il frigorifero portatile di mamma, dal quale usciva di tutto. Lasagne, pomodori e insalate di riso, melanzane. Con tutti quei tuffi, il pranzo non poteva che essere ottimo e abbondante. E poi eravamo tanti: zii, cugini, insomma la famiglia al completo. Sono stati anni belli, perché genuini come le persone che allora badavano al sodo e non alle chiacchiere. Tutto il contrario di oggi».

Sembra rimpiangere un Salento che non esiste più.
«Allora ho reso l’idea. Rimpiango la familiarità, la semplicità delle persone. Bastava una stretta di mano e la parola data. I rapporti umani erano diversi, perché diversi eravamo noi. E ricordo con nostalgia il pranzo dai nonni: un rituale al quale alla fine noi nipoti ci sottoponevamo volentieri».

E con gli amici e le prime fidanzatine, qualche anno dopo, dove andava?
«In autobus, pranzo al sacco, sul lungomare brindisino. Ricordo le gite alla scogliera “La Conca” dove ancora oggi si fa il bagno la mattina di Capodanno. Un luogo a me molto caro, come ancora oggi mi è cara via Guglielmo Marconi».

I suoi primi calci ad un pallone li ha tirati nel centro storico della sua città, giusto?
«Per l’esattezza davanti la Chiesa di San Benedetto, l’unico posto dove poter giocare con gli altri bambini. Mia madre mi osservava da lontano. Conosceva tutti e se mi avvicinava uno sconosciuto, lei era lì pronta ad intervenire. Un gendarme».

Da quei tiri in strada sono arrivate le prime esperienze in una squadra di rione, il Casale. Poi due anni nel Brindisi, al Padova all’età di 18 anni e il salto di qualità nel calcio che conta.
«Era il 1990, nel glorioso Parma di Scala e Malesani. Un’avventura fantastica: ho subito indossato la maglia da titolare».

Quindi l’esordio in Nazionale, nel 1993. Ma tutto è iniziato a Brindisi. Che rapporto ha con la sua città?
«Fantastico. Ci vivo e lavoro. Qui da alcuni anni ho un’impresa edile. Brindisi mi ha dato tanto, mi piace stare tra la mia gente dalla quale ancora oggi ricevo attestati di stima e di affetto, nonostante abbia appeso gli scarpini al chiodo nel 2004, dopo 258 presenze con la maglia gialloblù. I miei figli, stupiti, mi chiedono: “Papi perché la gente ti ferma in strada per chiederti una foto o un autografo?” Allora racconto loro un po’ di me».

Oggi il terzino sinistro, che con l’altro fenomeno De Chiara formava una coppia collaudatissima in difesa, e vice campione del Mondo ai Mondiali Usa del 1994, quale lembo di penisola salentina predilige per le sue vacanze?
«Sicuramente il lungomare di Apani, per quel mix di tranquillità e divertimento che sa offrire. Con i mie figli andiamo al Lido Guna dove c’è molto verde. Lì mi rilasso perché immerso nella natura».

Altri luoghi del cuore?
«Gallipoli e Otranto. Luoghi che frequento, in alternativa alle spiagge della Grecia».
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