Commercio in crisi: licenziati duemila addetti. «S’è ridotto il nostro potere d’acquisto»

Commercio in crisi: licenziati duemila addetti. «S’è ridotto il nostro potere d’acquisto»
di Elda DONNICOLA
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Lunedì 27 Febbraio 2017, 08:17 - Ultimo aggiornamento: 16:06
Il sindacato, tutto, viene colto di sorpresa dai numeri del commercio, dalle quasi 500 imprese chiuse nel 2016 che si traducono in circa duemila posti di lavoro in meno, a conti fatti per difetto. I segretari di Cgil, Cisl e Uil interpretano questi dati come ulteriore segnale di crisi dei consumi, delle famiglie che dovendo gestire una coperta troppo corta tagliano le spese rinunciando oggi all’acquisto di un maglione in più e domani dell’uscita in pizzeria. Fatta l’analisi però, invocano soluzioni che non possono che passare attraverso nuovi investimenti e buona occupazione. 
La lettura dei numeri non può che essere negativa per il segretario della Cisl Antonio Castellucci. «E’ un dato che ci preoccupa molto – esordisce – e che ci induce a riflettere. Credo che sia necessario fare quadrato su questo settore. Abbiamo sempre saputo e sostenuto che è il più precario di tutti». Il più precario e quello in cui i drammi si consumano senza fare rumore. «Quando chiude un’attività commerciale – continua Castellucci - non ci si fa caso che si perde lavoro. Bisogna attivarsi sul territorio provinciale, organizzare un tavolo dove si possano comprendere le motivazioni di quanto è accaduto al netto della crisi, c’è la necessità di avviare un percorso di sviluppo per il territorio. Abbiamo già chiesto un tavolo per parlare di sviluppo in Prefettura, il settore commercio non va tralasciato, anzi forse in questo momento è la parte più importante. Purtroppo in questo settore non ci sono neppure ammortizzatori sociali, non c’è il meccanismo degli altri comparti. Insieme con la categoria di riferimento avvieremo un percorso per comprendere meglio come intervenire. Mi rendo conto che non ci sono politiche territoriali che consentano di avviare nuove attività, c’è invece un sistema che costringe alla chiusura».
Nel ragionamento del segretario della Cisl trova parte anche la valutazione della presenza della grande distribuzione. «Se si abbassa la qualità – dice - le vendite sono quelle che sono, l’effetto sarà sempre quello. Mi aspetto un ulteriore contraccolpo anche con il nuovo centro commerciale che sta per aprire con il rischio di chiusura di altre attività sul territorio. Sarebbe utile che il territorio avesse le capacità di gestire la situazione».
Si mostra particolarmente rammaricato per le perdite nel settore commercio il segretario della Cgil Antonio Macchia. «Si tratta della inequivocabile conferma che possiamo parlare di stato di crisi della provincia di Brindisi – afferma - prendendo in esame tutti gli indicatori economici viene fuori una situazione molto grave. Le istituzioni e la politica devono saper dare la giusta risposta. Unite alle vertenze che già sono note, rischiamo di avere una ecatombe Brindisi con la disoccupazione che oramai è arrivata oltre il 50%. Occorrono risposte politiche immediate come avvenuto per Taranto. Anche Brindisi deve rientrare nelle priorità del governo nazionale e regionale». Il dato negativo che si registra per i pubblici esercizi è motivo di maggiore riflessione per il segretario della Cgil. «E’ vero che il turismo c’è – ragiona Macchia - ma i pubblici esercizi non vivono solo degli esterni. Noi abbiamo difficoltà a spendere e quindi rinunciamo al consumo, questo è un indicatore eloquente, c’è un aumento della povertà relativa e assoluta. Il ceto medio diminuisce, cala il prodotto interno lordo e le famiglie risparmiano quello che possono. Per fortuna che tiene il turismo».
Dal punto di vista occupazionale, il settore commercio si annovera tra i più precari. «Non si ragiona più sulla buona occupazione – afferma ancora il segretario Macchia - esiste la precarizzazione e i salari più leggeri con il risultato di un impoverimento generale. Questo è uno stillicidio di posti di lavoro, ma messi insieme siamo di fronte a grandi numeri. Analisi che può essere fatta è drammatica. Brindisi è a un bivio, ci si deve rendere conto che occorrono investimenti». 
Anche il segretario della Uil Antonio Licchello vede nella crisi delle famiglie e quindi dei consumi, l’origine del male che si consuma nel commercio. «Bisogna che i commercianti si rendano conto che – afferma Licchello – se chiude il sistema industriale, procura danno anche a loro. Non si può essere disattenti alla crisi in generale, è quella che produce il disastro che adesso vediamo. E’ vero che parliamo degli esuberi del sistema industriale e poco parliamo di questi, ma quanto hanno fatto loro per sollecitare l’attenzione dei sindacati?».
Fatto sta che anche Licchello addebita la crisi del commercio alla crisi delle famiglie. «Una famiglia che perde economia – afferma il segretario della Uil – non può consumare ed è evidente che rinuncerà anche ad andare in pizzeria. Mi rendo conto che in questo sistema anche il commerciante che chiude è una vittima, anche lui resta senza un lavoro e un reddito. Mi chiedo di questo passo dove arriveremo, a cos’altro dovremo rinunciare prima che si capisca che l’economia va ripresa con progetti di sviluppo».
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