Carenza di sangue ma manca il personale (e i donatori vanno via)

Carenza di sangue ma manca il personale (e i donatori vanno via)
di Maurizio DISTANTE
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Domenica 1 Maggio 2016, 06:05 - Ultimo aggiornamento: 14:34
Il pianeta sanità della provincia di Brindisi soffre di male noto a tutti: la carenza di personale che inficia grosse fette dei servizi erogati dalla locale Asl, non ultimo quello relativo alla donazione del sangue. I centri trasfusionali della provincia, le Urf, le unità fisse di raccolta, di Francavilla Fontana e Ostuni, da qualche settimana, funzionano a singhiozzo, provocando non pochi disagi ai donatori che rimangono disorientati tra chiusure impreviste e inviti ad andare a donare altrove.
Questa situazione cozza contro i numerosi appelli alla donazione diramati periodicamente, in occasione di fatti di estrema gravità o in concomitanza di particolari periodi dell'anno, storicamente scarsi in quanto a flusso di gente disposta a sottoporsi ai prelievi. In sostanza: i donatori ci sono, i laboratori per ricevere sangue no.
 
Sono due settimane che Franca Solazzi, una donatrice di sangue di Ostuni, cerca di donare recandosi all'Urf dell'ospedale della sua città, nei giorni e negli orari indicati, senza riuscire nel suo intento. «Due settimane fa - racconta la donna - sono andata in ospedale ma, una volta arrivata, mi hanno comunicato che il centro trasfusionale era chiuso per mancanza di medici. Ci sono rimasta molto male, non lo nascondo: non si tratta così chi, in maniera volontaria, armato di spirito di solidarietà, vuol fare qualcosa per gli altri. La settimana scorsa, invece, non ho potuto donare perché avevo l'emocromo sotto la soglia minima consentita per il prelievo. Giovedì, invece, non sono proprio partita da casa perché hanno fatto in tempo ad avvisarmi».
Il bilancio del centro trasfusionale di queste tre settimane, quindi, alla luce del racconto della donatrice, vede un -1 alla voce “sacche raccolte”. Se in almeno una delle tre occasioni utili la signora Solazzi fosse stata messa nelle condizioni di potersi sottoporre alla donazione, infatti, il suo sangue sarebbe arrivato nei frigoriferi del Simt, il servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale, dell'Asl di Brindisi a disposizione di quanti ne avessero avuto bisogno. «In realtà - prosegue la donna - quel giovedì eravamo in 7, 8 quando ci fu comunicato che il centro non avrebbe aperto perché mancavano i medici e suppongo, ma non ne sono certa, che dopo che siamo andati via noi, altri possano essere arrivati».
La signora Solazzi, infatti, non è l'unica che ha patito questo disagio perché la cultura della donazione, come testimoniano le tante associazioni di volontariato attive sul territorio, c'è e ha uno zoccolo duro molto determinato e presente. «C'era un ragazzo, insieme a me: la sua prima preoccupazione è andata a cosa avrebbe dovuto raccontare al proprio datore di lavoro per giustificare quell'assenza». In questi casi, infatti, i lavoratori hanno diritto a un riposo, previa la presentazione di un certificato medico che confermi il prelievo. In realtà, basterebbe solo recarsi al centro trasfusionale, per ottenere il permesso: anche se non si può donare per motivi fisici o clinici, il medico certifica la presenza in ospedale, confermando il motivo dell'assenza. Tutto questo, però, cade se non c'è nessun medico che può rilasciare alcun certificato.
«Anche il gestore del bar dell'ospedale è stato colto di sorpresa: quando gli ho detto che il centro era chiuso si è lamentato del mancato preavviso perché il giovedì, vista la presenza dei donatori che devono arrivare a stomaco vuoto, il bar prende più cornetti che, quel giorno, potrebbero essere rimasti invenduti».
La protesta della signora Solazzi è arrivata anche ai piani alti dell'azienda sanitaria. «Ho chiamato il professor Francesco Cucci, primario del centro trasfusionale dell'ospedale Antonio Perrino, e anche in direzione generale. Ho parlato col segretario del direttore generale, Giuseppe Pasqualone: quando gli ho raccontato cos'era accaduto, mi ha chiesto perché non ci fossero i medici. Sono rimasta allibita da quella risposta: io chiamo per avere delle spiegazioni e voi chiedete a me perché non c'erano i medici? Poi, quando c'è un'emergenza, ti cercano a casa per donare. Io lo faccio da sempre e per me è una bella abitudine ma, di fronte a queste cose, quasi mi passa la voglia: dovrebbero metterci nelle condizioni di poter donare ogni volta che vogliamo e possiamo, non ostacolarci e allontanarci dai centri trasfusionali».
 
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