Piano emergenza 118, sindacati in rivolta: «Servizi all’esterno»

Piano emergenza 118, sindacati in rivolta: «Servizi all’esterno»
di Maurizio DISTANTE
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Lunedì 27 Giugno 2016, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 07:56
Non c'è solo il piano di riordino ospedaliero a turbare il sonno alle organizzazioni sindacali impegnate nel settore della sanità: a Bari, presso l’assessorato alle politiche della salute, Giovanni Gorgoni, direttore del dipartimento della salute, ha illustrato i contenuti del piano di riorganizzazione della rete di emergenza/urgenza e le cose non sembrano essere andate benissimo. In realtà, i due progetti, piano di riordino e piano dell'emergenza, sono fortemente legati: il piano dell'emergenza, infatti, è quello che governa la rete del primo soccorso fuori dagli ospedali ma che si concretizza con l'arrivo nelle strutture sanitarie del territorio.
 
L'uno, il piano di riordino, non può dirsi completo senza l'altro, il piano dell'emergenza/urgenza, e sarebbe anche questo uno dei motivi che ha portato allo slittamento dell'approvazione da parte dei Ministeri della salute e dell'economia e finanze delle bozze presentate nei mesi scorsi da Gorgoni e dal suo staff. 
Pare, ora, che l'ok da Roma sia giunto e la riunione del 23 giugno è servita solo a illustrare ai sindacati quanto deciso: è facile intuire che le cose stiano diversamente da provincia in provincia e le organizzazioni che rappresentano i lavoratori della sanità brindisina non siano affatto soddisfatti del trattamento riservato a Brindisi. La Cisl, soprattutto, si è mostrata molto critica poiché, stando a quanto affermato del segretario territoriale Aldo Gemma, con le nuove disposizioni in materia di primo soccorso si andrebbe verso una sostanziale esternalizzazione totale del servizio. 
Secondo quanto previsto dal documento inoltrato dal direttore del dipartimento ai sindacalisti, i Ppi, i punti di primo intervento presenti sul territorio regionale, gestiti ora direttamente dalle aziende sanitarie locali, dovranno essere riconvertiti in postazioni del 118 che saranno affidate alle associazioni di volontariato, come già accade per i presìdi del 118 già presenti nella rete esistente: questo passaggio, secondo Gemma, non sarà indolore perché, da un lato, bisognerà ricollocare il personale Asl in esubero nei Ppi per far posto, invece, a soccorritori e mezzi provenienti dal privato, convenzionati con le aziende. Questo, quindi, significherebbe aumentare i costi perché bisognerebbe mantenere il personale in attività nei Ppi e aumentare il carico di spesa proveniente dal ricorso ai privati, dovuto alla proliferazione delle postazioni 118. 

Nell'illustrazione del piano dell'emergenza che il direttore Gorgoni ha offerto nell'incontro con i sindacati sono emerse poche novità rispetto alle anticipazioni: nel progetto sono previsti 5 Dea (dipartimenti di emergenza) di secondo livello, uno per ogni ospedale Hub, cioè uno per ogni provincia, esclusa la Bat; 15 Dea di I livello per i corrispondenti ospedali di pari livello; infine, 12 pronto soccorso collegati agli ospedali di base. Negli otto ospedali da chiudere o riconvertire, di cui tre si trovano nel brindisino, Fasano, Mesagne e San pietro Vernotico, sono previsti, invece, punti di primo intervento che nel giro di 18 mesi dovrebbero diventare presidi del 118. Stando a quanto affermato da Gorgoni, i Ppi, attualmente 30 in tutta la Puglia, che non superano i 6000 accessi annui al netto dei codici bianchi dovranno essere riconvertiti in postazioni mobili del 118. 
Per governare questa fase così delicata, quindi, i sindacati chiedono maggiore concertazione per tracciare una road map che tenga conto delle esigenze di cura e assistenza della popolazione e di quelle di bilancio e organizzazione, indispensabili per un sistema i cui ingranaggi girino a dovere.
 
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