Pavarotti, il re del do di petto

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Martedì 6 Settembre 2016, 17:53 - Ultimo aggiornamento: 20 Settembre, 21:36
Nove anni fa, il 6 settembre 2007, alle 5 del mattino muore nella sua casa di Modena il grande tenore Luciano Pavarotti. Ebbe l'intuizione di rilanciare la lirica anche tra i non appassionati, cosa che lo rese famoso in tutto il mondo, attirandosi anche qualche critica. Con i suoi 100 milioni di dischi venduti è uno dei cantanti più amati di tutti i tempi. 
Le ultime parole a lui attribuite prima della scomparsa furono:"Ricordatemi come un Tenore". L’ultimo  in grado di suscitare un entusiasmo d’altri tempi, colorato di un pizzico di fanatismo ma genuino! Se non l’avessero coniato prima per Frank Sinatra, il soprannome “the voice” sarebbe toccato a Pavarotti. Mi piace ricordarlo con questo raro filmato che lo ritrae nel 1964 a Mosca...giovanissimo tenore di belle speranze che era andato lì a fare il doppio! E' già un grande Rodolfo anche qui, sebbene ovviamente negli anni successivi continuerà ad affinare la tecnica, peraltro già eccellente, per diventare in assoluto il più grande interprete di "Bohème" nella seconda metà del Novecento.  
Che gelida manina” è un brano da sempre prediletto dai tenori per ragioni che vanno ricercate nel particolare carattere che ha assunto nel tempo: quello di prototipo dell’aria sentimentale, recepita come l’aria d’amore per antonomasia da ogni tipo di pubblico. Il rango vocale più adatto a interpretare questo brano è quello del tenore lirico, registro che sta a metà fra il tenore di grazia e quello drammatico, carattere riportato da Puccini al massimo splendore proprio grazie a Rodolfo. E Luciano Pavarotti nella “gelida manina” ha sempre dato il meglio di se stesso, dimostrando un’intelligenza e una sensibilità musicale sicuramente superiori all’adulazione di cui è stato circondato.
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Nei suoi anni d’oro Pavarotti sedeva incontrastato sul trono del re dei tenori, trono che era stato di Caruso, di Schipa, di Gigli, in parte di Del Monaco, ma non di Corelli e Di Stefano, né di Kraus o Bergonzi, e tanto meno di Domingo e Carreras. E questo non per supposte o anche vere superiorità vocali degli uni nei confronti degli altri, ma semplicemente con l’umiltà del cronista. E le cronache hanno raccontato che un solo tenore al mondo abbia potuto riempire gli stati ed i grandi parchi come una star del rock, cantando arie d’opera a volte neanche troppo popolari.
Certo, alla base di tutto c’era una voce tra le più belle del ‘900 per il timbro splendido, la ricchezza di armonici, la sonorità, l’estensione (fino al re sovracuto), lo squillo e la luminosità degli acuti, caratteristiche abbinate ad una tecnica perfetta, che gli permise di non forzare mai e di avere una dizione eccezionalmente nitida, tale da poter rivaleggiare con quella di Schipa. Cominciarono poi i trionfali (e discussi) concerti popolari dei tre tenori, fatti di arie d’opera e canzoni, con Domingo e Carreras. Poi arrivarono i Pavarotti and friends, concertoni pieni di divi che attirarono i giovani, allargando ulteriormente la fama del tenore. Il peso fu il suo incubo: oltre a creargli problemi fisici lo ostacolava nella respirazione mentre cantava. Doveva incontrare presto un avversario terribile: il male, la scoperta del cancro al pancreas. «Quando Pavarotti nacque, Dio baciò le sue corde vocali», scrisse una volta il critico del New York Times, Harold Charles Schonberg. Quasi fosse apparso un nuovo Orfeo. Chissà quando nascerà un’altra voce così bella!



 
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