Il Buon Partito
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Dalle "Sagre" ai Cinque Stelle: Emiliano, il doppio metodo e la nuova stagione

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Martedì 7 Luglio 2015, 16:05
Michele Emiliano, ancora una volta, fa la cosa che gli riesce meglio: interpretare se stesso, col suo tipico corredo di pregi e difetti. E col metodo, magari divisivo, che diventa sostanza e racconta un personaggio, una storia, forse un’epoca. Il neo-governatore - un irrequieto per vocazione e per lucido, ambizioso calcolo - trova il suo spazio vitale sempre lì: nelle cesure, nelle rotture. E per questo, la composizione della giunta è molto più di un cruciale passaggio amministrativo: è la mappa genetica di un politico. La nuova squadra d’assessori è antologica: poche, e sbrigative, concessioni alle forze politiche di maggioranza; passaggi obbligati o consigliati (tavoli di coalizione, consultazioni, etc) invece stracciati o frettolosamente archiviati; curricula degli assessori tarati non solo sulle competenze, ma anche sulla fedeltà al leader o sul tenue (se non inesistente) grado di conflittualità con la galassia-Emiliano; il mantra della legittimazione dal basso, dal popolo, purché il popolo parli lo stesso linguaggio del “sindaco di Puglia”; la diplomazia accartocciata e messa da parte, con buona pace di partiti, territori, singoli candidati più o meno suffragati, e il caso Sergio Blasi è paradigmatico; l’ostinata offerta di assessorati (tre) ai Cinque Stelle, per passare furbescamente alla storia - incenerendo Bersani, Letta, Renzi - come il primo dirigente pd che piega il duro legno del M5S alle responsabilità di governo. E poi, naturalmente, c’è il “talent show” andato in scena ieri: gli assessori, o almeno una parte di loro, incoronati dal “popolo delle Sagre”, e cioè dai 3mila che hanno scritto il programma in campagna elettorale. Un “talent show” a media intensità, perché le Sagre sono tutto sommato un avatar del governatore, perché le cinque preferenze hanno permesso di giostrare e cucire accordi trasversali, e perché la griglia di partenza (i dieci nomi tra cui sceglierne cinque) è stata imbastita dallo stesso Emiliano, che ha promosso e bocciato questo o quel consigliere sulla base dell’unica lanterna di cui più si fida: il mix d’intuito e carisma. Il suo intuito e il suo carisma. Insomma: coinvolgimento dal basso sì, ma vigilato dal leader, che su tutto sovrintende. È un trailer di quel che sarà. Risultato: l’involucro è all’insegna della partecipazione, la polpa però è marchiata a fuoco, indelebilmente, da Emiliano. Gioca sul doppio canale, il presidente. Da un lato promette corpi intermedi per incentivare la partecipazione, e in fondo per scaricare la pistola a chi lo accusa di troppo leaderismo: le Sagre, e poi l’assemblea di tutti i 400 candidati consiglieri del centrosinistra, la collaborazione con le opposizioni, la legge sulla partecipazione. Interna corporis che aspirano soprattutto a un solo obiettivo: legittimare sempre più il “sindaco di Puglia”, in definitiva temprandone la corazza di “uomo al comando” e liberandolo da quelle che lui ritiene zavorre (i partiti, per esempio), ma che in realtà spesso sono il vero sale della democrazia, al di là dello storytelling da “società 2.0”. Dall’altra parte poi Emiliano sta già smontando, pezzo dopo pezzo, la struttura amministrativa della Regione vendoliana, abbattendo le vecchie “aree dirigenziali” e viceversa rafforzando il nucleo centrale: la presidenza e il suo ristretto staff, vero, unico motore e propellente dell’intera macchina. Operazione ardita, a tratti rischiosa, e che potrebbe remare in direzione opposta rispetto all’annunciata sete di partecipazione dal basso e alla promessa valorizzazione del Consiglio regionale. È una partita su più tavoli, quella di Emiliano. Tutto, dal “talent show” al corteggiamento serrato dei pentastellati, vibra verso una sola direzione: stupire, anche (o soprattutto) su scala nazionale. Con risultati tuttavia contradditori su base regionale e locale: è una giunta che lascia stuoli di feriti sul campo di battaglia. Poco male, nell’ottica di Emiliano: per chi, come lui, ama raffigurarsi e farsi dipingere come un “pre-politico” allergico a certe logiche (pur essendo in realtà un politico tout court, con tutte le ambizioni del caso), produrre strappi è il metro del successo. A dire il vero però il neo-governatore dovrà prestare molta attenzione a non lasciarsi logorare dallo sfibrante pressing dei delusi: Brindisi e Bat sono le uniche province sbattute ai margini; ai vendoliani, che tanto hanno rivendicato il ruolo di primo partner di una coalizione che dovrebbe essere di sinistra, va soltanto un assessorato; i Pd di Brindisi, Lecce e Taranto non piazzano in squadra nessuno dei sei eletti, uscendo dal confronto con Emiliano sconfessati e con le ossa rotte; il consigliere più suffragato di Puglia (il salentino Sergio Blasi, Pd) non riesce nemmeno ad affacciarsi nella “magnifica decina” sottoposta alle “Sagre”, e dietro di lui scalpitano altri che s’aspettavano più considerazione. Insomma: in Consiglio Emiliano potrebbe ritrovarsi impelagato in uno pericoloso Vietnam. Sullo sfondo c’è la progressione nazionale del governatore. Non è un mistero: tra sportellate al premier e astute campagne per sedurre i media nazionali, Emiliano vuol ritagliarsi una leadership alternativa a quella di Renzi. Si guardi solo dal rischio che ha risucchiato l’ultimo Vendola, cinque anni fa: puntare - appena eletto - ad altre mète, finendo però per trascurare (o dar l’impressione di farlo) l’incarico istituzionale. Con la bruciante beffa di perdere, poi, una cosa e l’altra.
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