Operazione antimafia: cinque arresti per usura, estorsione e armi. Il procuratore Rossi: ​«Basta attacchi immotivati, fiducia nei giudici»

Il viceministro Sito: «Uno scontro magistratura-politica sarebbe gravissimo e io lo trovo sbagliato»

Foto d'archivio
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Martedì 3 Ottobre 2023, 09:27 - Ultimo aggiornamento: 4 Ottobre, 08:42

Cinque persone sono state sottoposte a fermo ad Andria nell'ambito di una indagine della polizia di Stato coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari. Le accuse a loro carico sono estorsione, usura e detenzione abusiva di armi con l'aggravante mafiosa.

Si tratta di presunti affiliati al gruppo criminale Pesce che in città gestisce le attività illecite e che stando a quanto riferisce l'ultimo rapporto semestrale della Direzione investigativa antimafia, ha una «struttura clanica e familistica, contiguo agli Strisciuglio baresi».

Le indagini

Cinque persone ritenute appartenenti al clan Pesce di Andria sono state sottoposte a fermo - e sono in carcere dopo il provvedimento del gip di Trani - perché indiziate, in concorso, dei reati di estorsione e usura aggravati dal metodo mafioso, detenzione illegale e porto in luogo pubblico di pistola. Dalle indagini, coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Bari, è emersa una «escalation di violenza» del gruppo. Le indagini, partite da altre investigazioni sul fenomeno dei sequestri-lampo nella provincia di Barletta-Andria-Trani, hanno messo in luce la «rinnovata pericolosità dei Pesce» data dalla scarcerazione di alcuni membri, tale da far «registrare la preoccupazione degli ambienti criminali andriesi, allarmati dal sistema estorsivo avviato nel territorio».

I reati contestati

A due degli arrestati è contestata un'estorsione, aggravata da metodo mafioso, ai danni di un membro della polizia locale di Andria, coinvolto in un incidente stradale con uno degli indagati e costretto a ripararne la macchina «pur non avendo alcuna colpa» - ha precisato in conferenza dal coordinatore della Dda di Bari Francesco Giannella - e a non denunciare all'assicurazione. «Mi devi aggiustare la macchina di tasca tua, io nei tuoi panni non mi ci metto, se no ti strappo la testa. Come ti trovo in mezzo alla strada di schiaccio la testa come un verme», avrebbe detto uno degli indagati, intercettati, all'agente. Un altro episodio di estorsione avrebbe avuto come vittime più persone «costrette con violenza e minaccia - scrivono gli inquirenti - a dover pagare somme di denaro esorbitanti». «Le vittime - si legge ancora - hanno dovuto sottostare a queste pretese avanzate con la violenza propria dell'intimidazione mafiosa e, dopo aver pagato, sono state nuovamente oggetto di richiesta di altri soldi». In un altro episodio, una vittima sarebbe stata minacciata con una pistola davanti ai propri familiari: «Non ti faccio solo perché ci sono dei bambini», avrebbe detto uno degli indagati. 

Il procuratore Rossi

«Basta attacchi immotivati, bisogna avere fiducia nei giudici», ha tuonato il procuratore di Bari Roberto Rossi. «Bisogna avere fiducia nelle istituzioni e nei giudici.

E ribadisco nei giudici, visto che assistiamo di recente ad attacchi non motivati nei loro confronti». Una risposta, tra le righe senza mai citarla, alla premier Giorgia Meloni che questa mattina, attraverso i suoi canali social ha "riaperto" lo scontro fra Palazzo Chigi e i magistrati. Meloni affida ai social la sua irritazione davanti alla sentenza di Catania con cui la giudice Iolanda Apostolico non ha convalidato il trattenimento di tre tunisini ritenendo le nuove regole, appena varate dal governo, in contrasto con la normativa europea. Ma di fronte alle parole della premier, "basita" per la sentenza dalle motivazioni "incredibili", prima l'Anm e poi 10 togati del Csm si schierano a difesa della collega, finita nel mirino anche di tutto il centrodestra che vuole portare il caso in Parlamento.

Sisto

«Uno scontro magistratura-politica sarebbe gravissimo e io lo trovo sbagliato, bisogna stare molto attenti, non dobbiamo ripetere l'errore delle guerre di religione», se c'è «un provvedimento che non va bene, lo si impugni». Lo ha detto questa mattina, ospite della trasmissione di Telenorba "Mattino Norba", il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, in merito alle polemiche suscitate dalla sentenza della giudice di Catania che non ha convalidato il trattenimento nel Cpr di tre migranti, e dalle parole della premier al riguardo.

«C'è un provvedimento che indubbiamente lascia perplessi - ha detto Sisto - direi che in qualche maniera deve essere impugnato, deve essere controllato, perché è un provvedimento che disapplica una legge sulla scorta di riferimenti europei, che bisogna esaminare approfonditamente, anche alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale, ma è solo un provvedimento. Sbagliato sarebbe scambiare un provvedimento con l'intera magistratura».

«Credo - ha aggiunto - che questo sarebbe un errore storico da non ripetere. Noi dobbiamo dialogare con la migliore magistratura, provare in qualche modo a fare le cose insieme, nell'interesse del Paese. Chi invece vuole cavalcare la tigre della lotta di religione fa un danno al Paese, al governo, ma anche alla giustizia. Combattere contro la magistratura senza un motivo plausibile, secondo me, è del tutto fuori luogo. Ci sono tanti magistrati che fanno il loro dovere correttamente e anche in silenzio, senza protagonismi». Per Sisto «è un errore cadere nella trappola di esasperare un provvedimento per farne un motivo di scontro istituzionale. Già nel periodo del Berlusconi 1 abbiamo pagato tanto per questa voglia di combattimento all'arma bianca, basta. Riconciliamoci con la giustizia, se c'è qualche provvedimento che non va bene lo si impugni».

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