Mancano 300 agenti. Parla il prefetto Bellomo: «Sicurezza nelle piazze»

Mancano 300 agenti. Parla il prefetto Bellomo: «Sicurezza nelle piazze»
di Beppe STALLONE
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Domenica 16 Aprile 2023, 05:00
Il sindaco Decaro ha segnalato al ministro dell’Interno Piantedosi, la necessità di potenziare i presidi di contrasto per alcuni fenomeni di illegalità che stanno interessando il tessuto sociale ed economico di Bari. Rapine, spaccate, spaccio di droga, baby gang. Abbiamo fatto il punto con il prefetto di Bari, Antonella Bellomo.
Signor prefetto concorda con la richiesta del primo cittadino?
«Non solo sono d’accordo ma ne abbiamo parlato in Comitato in settimana. Noi stiamo investendo tutte le risorse umane e strumentali per cercare di rafforzare il senso di sicurezza dei cittadini. Aggiungo che i risultati non sono mancati, molti autori di questi episodi sono stati individuati. Oltre alla presenza sul territorio delle forze di polizia, dobbiamo dare atto anche dell’attività investigativa che le forze di polizia compiono, coordinate dall’autorità giudiziaria. Baby gang, aggressioni, spaccate nei negozi, atto per atto c’è stata una risposta investigativa. Indubbiamente continua, come ha detto il procuratore, un gioco di guardie e ladri. Questa risposta c’è, la presenza rafforza nei cittadini il senso di sicurezza».
Piantedosi ha risposto a Decaro dando la disponibilità a tenere a Bari un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica ad hoc. Ha già sentito il ministro?
«No, al momento non ho avuto alcun riscontro. Certamente noi siamo prontissimi ad accoglierlo».
Questo rafforzamento potrà servire come deterrente al fine di evitare il reiterarsi di questi reati?
«Se dovessimo avere maggiori risorse umane da immettere sul territorio sarebbe un gran vantaggio. Ci sono tante zone da presidiare da piazza Moro a piazza Umberto, i giardini, Poggiofranco, per parlare solo di Bari perché situazioni difficili ci sono anche nel nord barese. Avere più risorse ci dà un vantaggio senza dubbio».
Il rapporto della Dia conferma la presenza forte dei clan in particolare di quello egemone dei Parisi. Si spara meno ma le infiltrazioni sono sempre di più, grazie anche a una ben pagata zona grigia che fa da ponte fra criminalità organizzata e parti della pubblica amministrazione o del tessuto economico.
«Il fatto che non si spari o si spari meno è un fenomeno che riguarda un po’ tutte le organizzazioni criminali. L’interesse della criminalità organizzata è quella di non elevare l’attenzione su fenomeni eclatanti ma di gestire l’attività che più può dare reddito a scapito della società».
Il punto è che entra sempre più nei gangli della pubblica amministrazione.
«Il tentativo di andare a gestire anche delle posizioni di comando, è chiaro ma quello che dobbiamo constatare è che si tratta di un tentativo che è stato sventato, sia dalle indagini ma anche forse da una società che ha degli anticorpi. Se si pensa all’inchiesta di Valenzano, la cosa si è fermata a livello di tentativo, in realtà le persone che la criminalità appoggiava per le elezioni, poi non sono state elette».
Il sociologo Palmisano, su queste colonne, ha detto che “le baby gang non sono altre che micro organizzazioni per mettere alla prova qualcuno che poi viene fatto entrare nelle maglie delle reti criminali degli adulti”, qual è la sua opinione?
«Sicuramente fa parte di un’analisi del crimine, certo ci vogliono le evidenze. Gli ultimi giovani individuati appartenevano a famiglie senza una macchia, dobbiamo andare più in fondo nel fenomeno. Anche quelli che non diventano preda della criminalità organizzata, ma che aggrediscono per il gusto di farlo, sono un fenomeno su cui interrogarsi. Forse mancanza di prospettive, livelli sociali che non si riesce a raggiungere».
L’Arcivescovo di Bari Satriano ha detto che “pensare a interventi correttivi drastici e coercitivi, è sempre una scelta tardiva e fallimentare”, ciò che è venuta a mancare è forse la missione educativa degli adulti?
«Abbiamo la colpa di non aver dato il modello di riferimento giusto, forse non abbiamo dato un modello di solidarietà, di condivisione. Anche se c’è da dire che i ragazzi non ci riconoscono. Il loro primo modello lo cercano sui social. È giunto il momento di far parlare loro e chiedere: cosa volete, cosa ci chiedete?».
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