Renzi sfida Lecce: «Un “sì” per cambiare e non finire nella palude»

Renzi sfida Lecce: «Un “sì” per cambiare e non finire nella palude»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Sabato 10 Settembre 2016, 08:44 - Ultimo aggiornamento: 12:20

Ci prova e in fondo, forse, ci riesce. Matteo Renzi sbarca a Lecce e vuol plasmare il format referendario sulle peculiarità pugliesi e salentine, e non soltanto elogiando «la capacità d’accoglienza di una regione straordinaria» o esaltando «i valori e la cultura di Lecce»: il “sì” alla riforma costituzionale, nella sua ottica, è un ariete per scardinare un sistema appannato, bloccato, «che ha bisogno di diventare più semplice ed efficace», ma è anche la porta d’ingresso per accreditare l’Italia, il Sud, il bacino mediterraneo, la Puglia in Europa. «Credibilità» nel contesto internazionale, «futuro», «fiducia», il pacchetto di riforme (non solo quella costituzionale) per «non tenere ferma l’Italia nella palude per altri 30 anni»: il campo semantico è il solito, declinato però con toni particolarmente sferzanti - ed ecco l’altra pennellata di pugliesità - nei confronti di chi qui, nel Tacco d’Italia e non solo, vuol sabotare con tutte le sue forze la riforma costituzionale. T’aspetti allora i colpi di cannone per Michele Emiliano, e invece le sciabolate sibilano verso Massimo D’Alema. Il nome non viene mai scandito, ma i riferimenti sono un laser: «Da queste parti passano presunti esegeti della sinistra...», «chi vota “no” non inventa un’altra riforma che si fa in sei mesi, ma tiene il Paese fermo per altri 30 anni e torna la vecchia guardia, la riedizione dei soliti, e non mi stupirei se nascesse una Bicamerale D’Alema-Berlusconi, così ci sentiamo tutti più giovani, ridiscutono per 20 anni e le cose non cambiano», e «l’elenco della vecchia guardia protagonista di presunte riforme è tutto per il “no”».
 

 


È una strategia pianificata col bilancino d’orafo: Renzi sa che la Puglia, e in particolare il Salento, sono una delle ultime “ridotte” dalemiane. Nella sala gremita del Politeama greco di Lecce, del resto, gli ex fedelissimi del fu “Lider Massimo” non mancano, tra i parlamentari, gli amministratori locali, i dirigenti o i semplici aficionados. Renzi, chirurgico, sceglie il bersaglio e viceversa risparmia Emiliano, un po’ perché il governatore non s’è ancora apertamente dichiarato per il “no”, e un po’ perché stamattina “Matteo” e “Michele” sottoscriveranno in Fiera del Levante il Patto Puglia.
 



Ma tant’è: “Il referendum degli italiani”, recita il “muro” multimediale alle spalle del premier, scenografia in stile Leopolda e maniche di camicia bianca. L’entrée è da un ingresso secondario, anche perché quello principale è presidiato dalla protesta. Renzi spinge molto sul concetto: le redini del cambiamento sono nelle mani dei cittadini, «ora tocca a voi, non a me, non ai ministri e nemmeno a quel galantuomo (Giorgio Napolitano, ndr) che ha dato avvio alle riforme e ha permesso al Paese di affrontare momenti di difficoltà», e l’applauso è scrosciante. «Riforma delle persone» è l’altra etichetta per battezzare la battaglia. Cercando, lì dove possibile, di spogliarsi degli abiti dell’arringatore di folle: «Non sono qui per convincervi, ma per entrare nel merito», visto che «tutti ce lo chiedono e quindi lo facciamo». Quasi in maniera didascalica, pedagogica, allora il premier sfodera sullo schermo alle spalle il quesito referendario, e lo scompone punto per punto. Primo: il bicameralismo paritario che «solo da noi funziona così», «un ping-pong assurdo che sta solo facendo perdere tempo all’Italia», che ha determinato «instabilità» e «63 governi in 70 anni», una «instabilità che rende più difficile trattare in Europa». Secondo: la «riduzione del numero di parlamentari». Terzo: l’abbattimento dei costi, «e circa 500 milioni li destineremo al fondo per la povertà». Quarto: la soppressione del Cnel, «costato 1 miliardo in 70 anni». Ultimo punto: la revisione del titolo V e dei rapporti Stato-Regioni, «che in questi anni ha portato molti elementi di contrapposizione». Insomma: la riforma è tutta qui, la palla passa ai cittadini. Né c’è il «rischio di autoritarismo»: «Non c’è un articolo che rafforza i poteri del premier, è più difficile da trovare di qualche personaggio raro di Pokémon». E l’obiettivo di Renzi è anche spezzare l’asse tra quesito referendario e altre tracce secondarie, nascoste: «Il referendum non serve come vi hanno detto, ma è un errore fatto anche da noi, a stabilire il futuro del governo. E non c’entra la legge elettorale, che si può cambiare».

Lecce è l’ultima tappa di una giornata intensa. Renzi è reduce dal vertice di Euro-Med ad Atene, lo ricorda al primo soffio dei circa 50 minuti di discorso ed è la miccia al ragionamento: «L’Europa e il mondo hanno bisogno dell’Italia, ma è necessario che il Paese diventi più agile e creda davvero in se stesso e nel cambiamento», che «accresce la credibilità». Un cambiamento «a 360 gradi»: dalle «regole del mercato del lavoro, anche se il Jobs Act non è sufficiente e chi è lì fuori è gente che non ce l’ha fatta», alle riforme d’impatto sociale e alla burocrazia. «Ma ancora non basta», «c’è bisogno di un’Italia che ci prova, ci crede, e non dice solo “no”». Spuntano altre stoccate «alle bugie sulla riforma», «ai presunti esegeti di sinistra» pizzicati citando Nilde Iotti che nel 1979 criticava duramente il bicameralismo paritario, e poi battute e motti di spirito, pescando siparietti con Obama sull’eccessivo numero di parlamentari italiani e affondando i colpi sul M5s («qualcuno voleva parlassi di Grillo, ma siamo in prima serata, non posso, ci sono i bambini...», anche se poco prima aveva espresso «dispiacere e tristezza per le vicende romane», disponibile «a dare una mano»). Le ultime curve sono più emozionali: il mettersi in gioco, la sfida generazionale, il «togliersi le fette di prosciutto dagli occhi» perché «siamo un Paese migliore di come lo raccontiamo», la clip sulle bellezze italiane, la «fiducia» e via così, lucidando l’antica dialettica sognante renziana. Senza però distogliere lo sguardo dal pragmatismo di chi deve trottare un bel po’ per far recuperare terreno al “sì”: lì fuori le trappole sono tante, non solo dalemiane. E Renzi lo sa.

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