Tunisia, la strage del resort: trucidati in spiaggia con i kalashnikov, 37 morti

Tunisia, la strage del resort: trucidati in spiaggia con i kalashnikov, 37 morti
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Sabato 27 Giugno 2015, 10:04
dal nostro inviato Nino Cirillo



SOUSSE (Tunisia) Si è fatto scuro il cielo della Tunisia e del mondo intero, di quella civiltà che pensavamo di aver costruito, che non era neanche l'ora del pranzo.



È bastato un barchino rosso avvicinarsi minaccioso alla spiaggia dal mare, chissà, forse un gommone. È bastato che lanciassero la prima granata alla cieca fra un ombrellone e un lettino, in mezzo a un tripudio di cocktail e di creme solari. Ed è stato l'inferno, è stato lo sfregio che non avevamo ancora conosciuto. Quanto sarà durata? I conti si fanno a spanne e sono conti indicibili: per uccidere trentasette turisti inermi su una spiaggia tunisina e per ferirne almeno altrettanti dovrebbero aver impiegato almeno venti minuti. Venti lunghissimi minuti in cui, solo adesso, proviamo l'insoportabile rimorso di averli lasciatoi soli. Come si saranno difesi? Avranno tentato di fuggire? Chi di questi macellai li ha inseguiti e finiti?



Ci siamo svegliati al ticchettare del prime agenzie, ai primi esclusivi filmati del solito telefonino. Ed è stato tremendo: a dieci chilometri da Sousse, fra i clienti dell'hotel Rui Imperial Marhaba, in un posto che si chiama Port El Kantauoi e che se non fosse Tunisia somiglierebbe molto alla Costa Azzurra, s'era consumata una mattanza di gente come noi. Un albergone di lusso, come volete chiamarlo? Ma uno di quelli che ancora offrono una settimana sotto i 400 euro, e quindi era praticamente pieno. Cinquecentosessantacinque ospiti su 800 posti disponbili, capite? E neanche un vigilante all'ingresso, neanche un uomo armato, nella stupida convinzione che un'estate cosi non può contemplare anche i progetti della Jihad. Hanno avuto praticamente carta bianca questi criminali, sono riusciti perfino a nascondere i loro kalashnikov fra gli ombrelloni prima di entrare in azione.



LA SPERANZA

Non ci sono conferme che tra i morti ci siano anche dei morti italiani. È accertato, invece, che ci sono state vittime tedesche, inglesi, francesi, belghe, e anche ceche, polacche e un irlandese. E sono più terribili da sopportare le storie di chi si è salvato rispetto a quelle di chi, invece, in questa guerra è caduto. C'è una mamma di Dublino che ha voluto raccontare al mondo intero la storia: lei che li vede sparare, lei che va a riprendersi i due figli in acqua, sempre lei che si rinchiude con loro in un bungalow fino a quando la carneficina non è conclusa. Eppoi la storia di Mattew e Sas, due sposini inglesi, lui che si fa scudo per tre volte perché non la colpiscano, e infatti rimane ferito all'anca, al petto e alla spalla, e continua a gridarle: «Ti amo, scappa via, qui ci ammazzano. Dì ai nostri figli che il loro papà li ama». I loro due figli, di 6 anni e 14 mesi, rimasti in Galles con i nonni, che un giorno sapranno anche perché Mattew ce l'ha fatta, è vivo e vegeto in una corsia d'ospedale. Ma si può combattere con questi nemici così? I tunisini, poveri loro, sono distrutti e confusi. Distrutti perché, stavolta, per il turismo sembra davvero finita, perché hanno dovuto sopportare a metà pomeriggio anche l'ultimo oltraggio: un volo della compagnia belga Jet Airfly, che stava quasi per atterrare a Efidha, l'aeroporto di Sousse, ha deciso improvvisamente di far marcia indietro e ritornare a Bruxelles. Confusi perché non sanno come andra finire. Il presidente Esseebsi continua a invocare una «strategia globale», intanto il loro segreto sogno di restare l'unica nazione sicura del Maghreb è miseramente fallito.



LA RICOSTRUZIONE

La dinamica, poi. Il ministero dell'Interno tunisino, a partire dal ministro Chelli in persona, non riesce a fornire una ricostruirzione completa e credibile. Perché il barchino rosso lo hanno visto in tanti, a partire da un cameriere dell'Imperial che stava lavorando al quarto piano, come hanno visto in tanti lo scoppio della granata, il kalashnikov nell'ombrellone e i poveri turisti freddati a uno a uno, inseguiti fino alla piscina coperta. Manca un tassello, però, manca la ricostruzione di tutto quello che è avvenuto a un certo punto nella reception. S'è presentato, vestito da turista, arrivando dal retro e non dal mare, uno di questi scellerati - che alla fine potrebbero essere anche quattro o cinque - e ha cominciato a far fuoco. Badando bene, però, a mirare solo sugli occidentali, risparmiando platealemente quei quattro o cinque inservienti tunisini che gli si paravano davanti. Uno scempio nello scempio. Uno è stato ucciso, in un conflitto a fuoco. Un altro l'hanno preso, in un altro conflitto a fuoco, dalle parti di Akouda, pochi chilometri da Sousse, vicino all'autostrada. Si conosce il nome soltanto di quello che hanno preso: Seifeddine Rezgui, 23 anni, studente, sconosciuto agli archivi della Polizia, originario di Kairouan, che sta a 60 chilometri da qui e che poco potrebbe dire se non fosse una città santa, forse la prima città santa di tutta la Tunisia.



L'OPERAZIONE

Alla fine ne viene fuori che forse è stata un'operazione a tenaglia, da mare e da terra, per sorprendere ancora di più e per colpire indisturbati, in una selva di rimandi simbolici, nel secondo venerdì del Ramadan, il più sacro di tutti, nel tempio delle vacanze che ancora pensavamo di poterci concedere.



La verità è che non ci sono più parole. Solo settanta giorni fa la strage al museo Bardo, con i suo 26 morti, sembrò il punto di non ritorno. Sembrò che l'abisso l'avessimo toccato. E invece siamo qua, e all'improvviso anche certe statistiche fanno male: sono tremila i combattenti tunisini della Jihad e addirttura mille di questi sono partiti dalla sola Sousse. Perché non pensarci prima?
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