Terrorismo, quando i media lo aiutano: da Monaco 1972 a Bruxelles 2015

Un uomo di Settembre Nero a Monaco 1972
Un uomo di Settembre Nero a Monaco 1972
di Giulia Aubry
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Martedì 24 Novembre 2015, 09:11 - Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 19:13
Nella notte tra il 22 e il 23 novembre sono stati i gattini a vincere. Migliaia di persone hanno risposto così all'appello della polizia belga, smettendo di pubblicare su Twitter informazioni relative agli spostamenti di mezzi delle forze dell'ordine a Bruxelles, per non mettere a rischio l'operazione anti-terrorismo in corso in tutta la città.



Giornali, operatori dell'informazione, semplici cittadini hanno invaso il "social dell'uccellino" con centinaia di immagini di gattini per sommergere, letteralmente, eventuali informazioni che potessero in qualche modo aiutare i terroristi a fuggire. E la polizia belga stamattina ha ringraziato tutti i "gatti" pubblicando l'immagine di una ciotola di croccantini.

Una grande lezione di senso civico, ma anche una lezione appresa che parte da molto lontano. Da analoghe situazioni che sono fallite (o hanno rischiato di fallire) proprio per la presenza eccessiva e pervasiva dei mezzi di informazione.



Era il 1972. I reparti speciali della Polizia tedesca si stavano preparando per il blitz nel villaggio olimpico. Cecchini sui tetti. Uomini pronti a entrare nella palazzina dove un commando di terroristi del gruppo palestinese di 'Settembre Nero' tiene in ostaggio gli atleti della squadra olimpica israeliana. Tutto è pronto, quando uno dei terroristi fa cenno al negoziatore di voler parlare con lui. Sa tutto. Conosce il numero di uomini che stanno per entrare e i punti da cui faranno irruzione. Lo ha visto in televisione, come altri milioni di persone che stanno seguendo in diretta uno dei momenti più terribili della storia sportiva, e non solo, del secolo scorso.

Il blitz fallisce prima di cominciare. I negoziati continuano, ma la vicenda finirà male. Alla fine moriranno tutti, terroristi ed atleti israeliani, in un bagno di sangue senza precedenti.

La diretta televisiva, i media che raccontano quanto avviene in tempo reale. Monaco 1972 rappresenta uno spartiacque in questo senso ed evidenzia come, prima di quel mese di settembre in Germania, nessuno avesse pensato ai risvolti della copertura mediatica in queste situazioni.

Informare è un dovere. Ed essere informati è un diritto. Ma se questo dovere e questo diritto mettono in pericolo migliaia di vite umane e un'operazione di polizia le cose cambiano. E l'informazione in tempo reale può diventare uno strumento potentissimo nelle mani di terroristi.



Un rischio corso anche nel 2011 ad Abbotabad in Pakistan. In una delle notti più lunghe per il Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, è in corso un'operazione segretissima dei Navy Seals. L'obiettivo è la cattura di Osama Bin Laden, la mente dell'attacco alle Torri Gemelle del settembre 2001. All'una di notte del 2 maggio Sohaib Athar, consulente informatico, tweetta: "un elicottero è in volo su Abottabad. Un evento raro" e, subito dopo, "vai via elicottero prima che ti schiacci con il mio schiacciamosche". Athar, che vive a qualche chilometro di distanza dal luogo dove si nasconde il terrorista più ricercato al mondo, non sa di aver dato per primo al mondo la notizia dell'inizio dell'operazione Neptune Spear. Per fortuna nè Bin Laden nè i suoi uomini stanno monitorando Twitter (all'epoca ancora relativamente poco usato dai terroristi), e l'operazione va a buon fine.

La policy delle Forze armate di tutti i Paesi del mondo è molto rigida per quanto riguarda l'utilizzo dei social media da parte di propri membri in operazione. Postare foto, anche generiche, o lasciare aperta la funzione di localizzazione può fornire al nemico numerose informazioni. E il vantaggio informativo nelle "nuove guerre" è davvero tutto.



Ne sa qualcosa la Russia la cui presenza in Siria è stata svelata, molto prima dell'annuncio ufficiale, da un gruppo di giovanissimi giornalisti/analisti del sito Bellingcat che hanno trovato, su Facebook e VKontakte, foto di soldati russi in Siria in posa davanti a manifesti con l'immagine di Assad.

Ne sanno qualcosa anche i militanti di Daesh in Siria e in Iraq. Nonostante l'addestramento all'utilizzo dei social media come strumento di propaganda e reclutamento, molti di loro hanno finito con il lasciare la funzione di localizzazione o hanno pubblicato immagini di luoghi facilmente identificabili. Grazie a queste dimenticanze, le forze della coalizione sono riuscite a identificare le loro posizioni e colpirli con un ottimi risultati.

Che dire? Pensiamoci la prossima volta che twittiamo o postiamo foto...