Terrorismo, venerdì di terrore globale: così la jihad cambia linea

Terrorismo, venerdì di terrore globale: così la jihad cambia linea
di Marco Ventura
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Sabato 27 Giugno 2015, 09:03 - Ultimo aggiornamento: 14:09
La guerra dell’Isis è globale ed è combattuta ogni giorno in diversi Paesi. L’obiettivo del Califfo Abu Bakr Al-Baghdadi è la creazione di uno Stato Islamico che spazzi via le frontiere tradizionali. Gli attentati di ieri, da Sousse in Tunisia a Lione in Francia, dalla Somalia al Kuwait, sono la dimostrazione che l’offensiva è su più fronti, ma non necessariamente coordinata. Tunisi è un punto nevralgico perché nelle elezioni ha prevalso l’Islam moderato, sotto attacco nel cuore battente della possibile ripresa economica: il turismo. Gli obiettivi futuri? L’assalto più preoccupante è in Kuwait, perché prelude a un attacco all’Arabia Saudita custode dei luoghi santi dell’Islam, Mecca e Medina. Ma sullo sfondo ci sono anche Paesi fragili e instabili come Giordania e Libano, anticamera verso Israele. «Noi vediamo azioni simultanee, in realtà non abbiamo il quadro degli attentati jihadisti in giro per il mondo», avverte Alessandro Politi, analista senior del Cemiss, il Centro militari di studi strategici. «Quello che ci arriva sono gli attacchi che fanno notizia»: altri possono sfuggire, dall’Afghanistan all’Iraq, dallo Yemen alla Somalia.



STORIE DIVERSE

È in corso una guerra. I raid in Tunisia, Kuwait, Francia e Somalia «sono avvenuti nello stesso giorno, ma non c’è la prova di un collegamento a meno che ‘l’uomo della montagna’ non dica che si è voluto colpire nel giorno sacro del Ramadan, un attacco che per la tempestività dimostra quanto l’Isis non abbia rispetto neppure per le basi della religione islamica. E tuttavia, invitare a attaccare durante il Ramadan non significa coordinare gli attacchi». Quindi, secondo Politi, la giornata di ieri racconta storie diverse legate dal filo conduttore dell’offensiva globale. Un caso a parte la Francia. «Non c’è correlazione grezza tra disperazione e terrorismo, ma l’assenza di una prospettiva sociale è una costante di queste vicende di terroristi cresciuti nelle banlieu. La Francia sconta il fatto di aver creato riserve di disoccupati senza futuro così facilmente reclutabili in numeri relativi», rispetto a 6 milioni di musulmani che vivono oltralpe, «da saturare la capacità di sorveglianza». Risultato: «Il jihadista fai-da-te, lo fai te. Non mi stupirei – azzarda Politi – che si sia dato il permesso a uno dei fratelli Kouachi, i terroristi di Charlie Hebdo, di fare l’agente infiltrato che poi ha incontrato un Imam che l’ha illuminato». Manca, in Francia, il controllo sociale, «molto più potente di quello poliziesco».



LA RIVOLUZIONE ARABA

Diverso il caso della Tunisia. Qui è nata la rivoluzione araba, e gli esiti elettorali sono che per ora ha vinto non l’Islam radicale ma «il partito dei gattopardi, e anche se avesse vinto la Fratellanza musulmana, quella tunisina sta all’Islam radicale un po’ come i comunisti italiani stavano a quelli sovietici». Il problema della Tunisia, aggiunge Politi, è che c’è una libera circolazione di tagliagole tra Libia e Mauritania. L’unica soluzione è che i Paesi europei («i più svegli se ne sono accorti») aiutino la Tunisia in concreto, non solo militarmente. «L’industria turistica si riprende con facilità, ma è anche facile da abbattere. L’attentato al Museo del Bardo poteva sembrare un obiettivo casuale, vicino al Parlamento. Ma con gli attacchi ai resort dalla spiaggia vuoi proprio dire: non venite qui a fare i turisti sennò vi ammazziamo. E anche a prezzi stracciati, la gente non ci va più». Eppure, l’attentato più inquietante di ieri, secondo Politi, è quello alla moschea Al-Imam al-Sadeq del Kuwait. Al Baghdadi vuole «scatenare la guerra tra sciiti e sunniti. La moschea sciita è un obiettivo tipico. Si voleva dire: conquisteremo l’Iraq, la Siria e l’Arabia Saudita». In arabo, Stato è “al Dawla”.



LO STATO UNICO

Un unico Stato islamico dal Sinai all’Algeria. «Il kamikaze in Kuwait è un avvertimento mafioso chiarissimo: per ora ci siamo infiltrati, ma arriveremo». Non a caso, l’attentato è stato subito rivendicato dall’Isis. Anzi, dalla branca saudita del Califfato, la “Provincia di Najd”. I prossimi obiettivi? Giordania e Libano, che non rientrano nei bersagli ufficialmente proclamati dal Califfo nel novembre 2014. Ma nel Sud della Giordania ci sono già cellule attive del Califfato. Le «colonie israeliane in Cisgiordania si troverebbero in qualche problema di fronte ad attacchi sistematici agli avamposti più isolati. I coloni sarebbero costretti a rifugiarsi al di qua del Muro». In Tunisia il confronto è cruciale, perché là «c’è un equilibrio con l’Islam in cui si può andare a elezioni e vincere o perdere e far funzionare una democrazia». Chi prevarrà, noi o loro, è da vedere.