Muscoli e alleanze, così Mosca vuole tornare una superpotenza

Muscoli e alleanze, così Mosca vuole tornare una superpotenza
di Giuseppe D'Amato
3 Minuti di Lettura
Giovedì 1 Ottobre 2015, 06:01 - Ultimo aggiornamento: 08:48
MOSCA - Tornare a contare da peso massimo negli affari internazionali, quasi come la defunta Unione Sovietica. Vladimir Putin rispolvera in Siria l'antica gloria della potenza militare russa, relegando in secondo piano la crisi ucraina. I suoi detrattori riparleranno a questo punto del vecchio sogno fallito dei cosacchi di lavarsi gli stivali nei mari del sud. Ma da quel terribile 15 febbraio 1989 di tempo ne è passato. Allora il generale Boris Gromov attraversava mestamente il ponte dell'Amicizia sul fiume Amudarja, chiudendo senza gloria «l'avventura» afghana dopo un decennio di inutili spargimenti di sangue. Da quel giorno la ritirata di Mosca su tutti i fronti è stata continua: via da Berlino e dall'Europa centro-orientale dopo il crollo del Muro; via dalle repubbliche sorelle, ormai diventate ex sovietiche nel dicembre '91, sempre più attirate loro nella sfera occidentale.

IL CAMBIO DI ROTTA

Il Cremlino tenta ora di invertire la rotta dopo gli eventi ucraini e la "riunione" alla madrepatria della Crimea, penisola contesa con Kiev del 2014. Fino ad oggi la Russia ha combattuto guerre sul territorio ex sovietico con l'unico scopo di «congelare i conflitti», di cristallizzare lo status quo. È stato così in Georgia ed in Moldova. La barriera anti-radicalismo islamico è stata, invece, elevata in Tagikistan ed in Kirghizistan. Ma la ferita ancora aperta è sul territorio federale, in Cecenia e nel Caucaso settentrionale, dove gli estremisti - definiti comunemente dalla propaganda russa degli anni Novanta "wahhabiti" (il movimento conservatore a cui fa riferimento anche la famiglia reale saudita) - hanno tentato di trasformare una rivolta nazionale in uno scontro di religione, colpendo le fondamenta del vivere comune in una Federazione, multiconfessionale e multietnica.



L'AVVICINAMENTO

Da dopo il crollo dell'Urss il Cremlino ha seguito una politica di avvicinamento all'Occidente. È stato accolto nel G7 (il club dei Paesi più ricchi) nel 1997 ed ha firmato un trattato fondamentale con l'Alleanza atlantica a Pratica di mare nel 2001. L'amicizia con gli ex "nemici" della Guerra Fredda ha fruttato benessere e stabilità, anche se Vladimir Putin oggi non l'ammetterebbe mai. Addirittura, senza troppo reclamizzarlo presso l'opinione pubblica nazionale, Mosca ha permesso il passaggio di convogli militari della Nato da e verso l'Afghanistan sul proprio territorio dopo l'11 settembre. Del resto gli occidentali combattevano ormai dalla stessa parte contro i talebani ed i radicali che mettevano a subbuglio l'Asia centrale ex sovietica. Tale collaborazione non è mai cessata, neppure nei giorni più bui dell'attuale crisi internazionale. In Siria, pertanto, ci si augura si seguano gli schemi già ben collaudati nel recente passato. Washington, forse, non dimenticherà che furono i servizi segreti di Mosca a fornirle le coordinate dei bersagli da colpire in Afghanistan dopo l'attentato alle due Torri gemelle.



LE FRIZIONI

Ma non sono sempre state tutte rose e fiori in questi ultimi due decenni. Famosa è la virata di 180 gradi sull'Atlantico dell'allora premier federale Evghenij Primakov, diretto in Usa, alla notizia dell'attacco Nato alla Jugoslavia nel marzo '99. Clamorosa fu poi l'occupazione da parte delle autoblindo federali dell'aeroporto di Pristina in Kosovo sotto gli occhi degli esterrefatti militari occidentali qualche mese dopo. Screzi ve ne sono stati anche in Kirghizistan, dove il Cremlino ha preteso ed ottenuto la chiusura della base strategica Usa di Manas, da dove, pare, gli specialisti statunitensi controllavano tutto il traffico aereo sulla Cina settentrionale e sulla Russia orientale.



LO SCUDO

Il problema mai irrisolto - forse una delle vere cause dell'attuale crisi nei rapporti Est-Ovest - è la mancata definizione del progetto comune di Scudo anti-missile in Europa dopo anni di trattative segrete. A Bruxelles nella sala di comando alleata nessuno si fidava dei russi. Politicamente ciò avrebbe significato il riconoscimento di Mosca come alleato e non più semplice partner. L'Urss sarebbe entrata definitivamente nei manuali di storia.