Shoah, la storia di Celina: sopravvissuta ad Auschwitz grazie alla lista di Shindler

Shoah, la storia di Celina: sopravvissuta ad Auschwitz grazie alla lista di Shindler
di Marco Berchi
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Martedì 27 Gennaio 2015, 06:09 - Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 11:16
AUSCHWITZ - Il portello del vagone che si spalanca, la luce dei riflettori, il latrato dei cani e delle SS, il terrore che vi attanaglia mentre scendete dal treno e vi sospingono verso la camera a gas: siete ad Auschwitz! Se avete visto questa sequenza in Schindler's list non la potete dimenticare. Anche Celina Biniaz non la può dimenticare. Perché lei, in quell'inverno del '44 era lì, su quel vagone.



Il nome di Celina era sulla lista di Schindler e - esattamente come nella pellicola di Spielberg - lei e le sue compagne furono spogliate, rasate, sfilarono di fronte al dottor Mengele e infine, certe di morire, videro scendere acqua anziché il micidiale Zyklon - B dalle docce della camera a gas.



«Avevo tredici anni - racconta - ed ero la più giovane tra i 1100 ebrei salvati grazie a quella lista. E proprio Schindler, alcune settimane dopo, venne a prelevarci dal campo, dove eravamo state portate per errore, per trasferirci nella sua fabbrica di Brunnlitz. Sapete, per lui la svolta fu vedere cosa fecero i nazisti nel ghetto di Varsavia. Decise di salvare più gente possibile e soprattutto famiglie intere, per far ripartire la vita». Oggi Celina è una deliziosa 83enne, insegnante in pensione californiana e incontrarla qui, ad Oswiecim - Auschwitz, in Polonia, alla vigilia delle celebrazioni del 70° anniversario della liberazione del campo da parte dell'Armata Rossa, emoziona anche i più rudi inviati di guerra. Racconta ancora Celina: «Sapevamo di Auschwitz e quando le porte del vagone si aprirono capimmo subito che eravamo a un passo dalla morte.



E più tardi, quando un SS chiese come una ragazzina potesse essere utile in una fabbrica, Schindler rispose che servivano mani piccole per pulire i macchinari».

Parole come queste, racconti che rievocano la linea sottile tra la vita e la morte, hanno popolato l'intera giornata qui a Oswiecim, dove 14 sopravvissuti del campo di sterminio nazista di Auschwitz - Birkenau hanno incontrato i giornalisti alla vigilia della Giornata della Memoria che oggi li vedrà protagonisti di una solenne cerimonia insieme a capi di Stato e autorità di tutto il mondo.



MUSICA

Parole come quelle di David Wisnia, che a 88 anni affronta per quasi due ore telecamere e giornalisti raccontando che «siccome Dio ama la musica e io sono nato per la musica, mi sono salvato». David si presenta con una giacca con lo stemma della 101ma divisione aviotrasportata americana. Sopravvissuto a ben due anni di Auschwitz, alla "marcia della morte" con cui i nazisti evacuarono il campo e a un tentativo riuscito di fuga, era nei pressi di Dachau quando vide sbucare da una curva i tank americani: «Avevano una stella e credevo fossero russi. Ma la stella era bianca... Da allora fui adottato dalla 101ma come interprete e finii con loro la guerra».



A chi gli chiede cosa lo colpisca di più in questi giorni, Wisnia risponde sorridendo che è felice di aver visto tanti gruppi di studenti tedeschi e di aver potuto parlare con loro. Poi confida di aver avuto un incubo, l'altra notte: «È la prima volta che mi capita. Sapete, io ho avuto due vite, la prima finì quando assassinarono i miei genitori nel ghetto di Varsavia; la seconda iniziò vedendo quei tank americani». Poi David scaccia il terribile sogno con un gesto della mano e aggiunge: «Ai giovani bisogna dire che occorre scegliere, e scegliere la vita. Ma per farlo occorre un'educazione. In fondo è sempre un problema di educazione. E se non credete in nulla al di sopra di voi, se credete di essere voi il "boss" di tutta la realtà, è allora che iniziano i problemi». Musicista e cantante, Wisnia ricorda che il primo brano imparato da ragazzino fu E lucean le stelle dalla Tosca. Ma il brano più importante lo compose lui, ad Auschwitz, e ora lo canta di fronte ai giornalisti che lo applaudono.



LA FORZA

Come se temesse le sdolcinature, David conclude professandosi "repubblicano" e ammonendo: «C'è troppa gente in giro che nella nostra disponibilità al dialogo vede solo debolezza. Gente che capisce solo un linguaggio: quello della forza. E allora bisogna usarlo. E invece né Obama né Kerry sono andati alla marcia di Parigi...»



«Don't hate!», “non odiate mai” è il messaggio conclusivo di Celina Biniaz. «Se odi fai del male anzitutto a te. E oggi chi ci odia lo fa soprattutto perché non ha speranza nel futuro, Bisogna dare speranza ai giovani e sì, penso anche ai giovani islamici. Io sono ottimista: guardo i miei nipoti e vedo come i giovani di oggi sono molto più aperti e disponibili a incontrare gli altri».



L'ultimo incontro è con Krystyna Kobylanska. Portamento nobile ma sguardo sofferente è stata ad Auschwitz dall'agosto '44 sino alla liberazione. «Non parlavo di ciò che avevo visto. Non riuscivo a liberarmi dEl ricordo, financo del ricordo del terribile odore di Auschwitz. Mi convinsero i miei figli dopo aver trovato le memorie agghiaccianti di mio fratello, internato con me e nostra madre. Sono qui per testimoniare, mentre la mia vita volge alla fine. A tutti dico: non venite qui alla leggera, preparatevi». Chiedo a Krystyna come è potuta sopravvivere: «Avevo 7 anni, ero ammalata. C'erano dei medici polacchi nel campo. Mia madre donò il suo sangue, sono viva grazie al suo sangue». La madre di Krystyna morì poco dopo nel campo di Ravensbrueck.