La morte di Giulia Cecchetin, Bruzzone: «Controllo, oppressione e competizione: attenzione a questi segnali»

In Italia 83 donne uccise in un anno, sette in Puglia per la criminologa parlare di emergenza è da ingenui. «Una questione culturale»

La morte di Giulia Cecchetin, Bruzzone: «Controllo, oppressione e competizione: attenzione a questi segnali»
di Francesca SOZZO
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Sabato 18 Novembre 2023, 20:38 - Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 11:04

Il controllo, l'oppressione, la competizione. Quella che non ha "retto" Filippo Turetta l'ex fidanzato di Giulia Cecchettin abbandonata al bordo della strada e lasciata rotolare lungo un dirupo per una cinquantina di metri, fino a quando il corpo si è fermato in un canalone. «Stava giocandosi l'ultima carta e lo sapeva - ha commentato la criminologa Roberta Bruzzone - Doveva impedire ad ogni costo a Giulia di laurearsi prima di lui». Sono le motivazioni che hanno spinto Bruzzone a parlare di omicidio premeditato sebbene di violenze - almeno fisiche - nella storia dei due fidanzati non si fosse mai parlato. Ma c'erano quelle psicologiche tipiche di una relazione tossica che spesso vengono sottovalutate e scambiate per attenzioni nei confronti della persona "amata".

C'era una sorta di competizione quindi?

«Sì, era un'ossessione per lui questa ormai.

Probabilmente ha cercato di manipolarla come ha potuto, dopo di che aveva messo in conto che se non fosse andata a segno questa strategia ne avrebbe messa a segno un'altra che purtroppo è quella che ha scelto di mettere in campo. Ecco perché io parlo di un omicidio che non nasce solo dall'impeto ma - conoscendo anche il tipo di comportamento di soggetti con personalità del genere - anche della possibilità di mettere in campo un piano B: eliminare fisicamente Giulia, per eliminare una competitor scomoda e un termine di paragone che lui evidentemente non riusciva ad affrontare».

Ma non si era parlato di episodi di violenza prima di quanto accaduto...

«Violenze di natura fisica no, ma psicologica sì, mi pare di capire. Ci sono tutta una serie di racconti che ora emergono sia da parte de famigliari che da parte di amici in cui lui viene descritto come oppressivo, ossessivo, controllante. Lei non poteva muovere un passo senza avercelo di fianco, non aveva nessun tipo di autonomia finché è rimasta con lui. E lui non aveva preso bene la fine della relazione tanto che la minacciava anche sotto il profilo del ricatto emotivo sostenendo che senza di lei si sarebbe ucciso. Di segnali mi sembra di capire che ce ne fossero eccome».

Sono i segnali che lei definisce di matrice narcisistica: può spiegare cosa si intende?

«Parliamo di un ragazzo che, come tanti come lui, non tollera nessun tipo di frustrazione e soprattutto non tollera di essere messo in discussione e di sentirsi inadeguato rispetto a qualcun altro nella fattispecie dalla sua ragazza. Ci intravedo una dinamica competitiva che è tipica di un narcisista maligno e quando questo tipo di soggetti sperimentano l'angoscia del sentirsi inadeguati dal timore che questo possa essere visto anche dagli altri diventano anche molto aggressivi».

In che modo si possono riconoscere i narcisisti?

«Abbastanza facilmente se sai dove guardare. Sono persone concentrate solo su di sé, sui loro bisogni, sui loro progetti, sul fatto che l'altro debba sempre assecondare le loro richieste, buone e meno buone. Sono profondamente immaturi e reagiscono in maniera profondamente disfunzionale davanti a tutti gli scenari che comportano una messa in discussione del loro valore».

Ci si può difendere?

«Sì, allontanandosi il prima possibile».

Ma sembra non essere così facile...

«Non è facile perché molte ragazze, anche molto giovani, purtroppo sono state educate in maniera assai distorta a considerare il controllo serrato e la limitazione di tutta una serie di azioni della vita del partner come un segno di interesse. "Non puoi uscire con le amiche meglio se esci con me", "Inutile che fai quell'attività meglio che stai con me...", molte ragazze  queste cose le accettano considerandole un segnale di interesse da parte del compagno. In realtà è un segnale di disagio psicologico, se non vogliamo chiamarla patologia. E' bene che anche i genitori di questi ragazzi comincino a guardare con occhi diversi certe caratteristiche dei propri figli, perché il problema del riconoscimento di questi soggetti non è soltanto da parte delle vittime, ma anche da parte della famiglia che tendono a manifestare una sorta di cecità perché ogni qual volta salta fuori che questi ragazzi sono ossessivi, controllanti, spregiudicati, arroganti lo considerano come segnale di propensione alla leadership. Cosa che non è: sono segnali di una personalità disfunzionale».

I numeri sui femminicidi sono sempre più preoccupanti: 105 le donne uccise nel 2023 in Italia, di cui sette in Puglia: siamo ancora nella fase dell'emergenza o abbiamo superato il livello di allarme?

«Ma no, non si può parlare di emergenza. Sono dati strutturali, è un problema che noi abbiamo di tipo strutturale, stabile ormai. Parlare di emergenza mi sembra nella migliore delle ipotesi ingenuo».

Cosa si deve fare arrivati a questo punto?

«Si può fare molto di più: lavorare sulla testa della gente, portare maschi e femmine, adulti e giovanissimi a ragionare in termini diversi e a riconoscere quelli che sono segnali di disagio senza più spacciarli per segnali di interesse. Forse se cominciassimo da lì saremmo ad un buon punto di partenza. Dovremmo insegnare alle ragazze che si può andare avanti tranquillamente senza essere la fidanza o la moglie di qualcuno».

Le leggi servono a poco?

«Servono solo a contrastare un fenomeno quando poi si è manifestato. Pensare di risolvere la problematica inasprendo le leggi è una pia illusione. La problematica è culturale, sono secoli che il nostro Paese, e non solo lui, considera la donna in maniera inferiore all'uomo e ogni volta che una donna decide di lasciare un uomo lo si considera un danno reputazionale al maschio da lavare col sangue. Potremmo anche inserire la pena di morte ma non cambierà una virgola».

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