Le magie di un folletto. E novanta pecore per un sogno

Antonio Ligori e la sua compagna Mariangela Maselli
Antonio Ligori e la sua compagna Mariangela Maselli
di Rosario TORNESELLO
7 Minuti di Lettura
Domenica 24 Settembre 2017, 19:14
Chiuso. Il cartello dice il vero, ma a metà. È un foglio di carta, legato a un pezzo di legno, poggiato sul ciglio di una stradina tra Cutrofiano e Collepasso. Posizione defilata. Le cose che contano spesso sono così. Sopra, un bigliettino da visita: “Sciacuddri”. È il nome dell’azienda agricola: una casetta, un piccolo laboratorio artigianale per il formaggio e un gregge di novanta pecore sarde, più 30 agnelle in carriera, nel senso che presto entreranno in produzione. Due ettari e mezzo di terra, nove con quelli in affitto, trenta se ci metti il pascolo libero. “Sciacuddri”, ovvero “Monaceddhu”, l’ineffabile folletto. Chiuso, ma a metà: vendita sottoposta a “fermo biologico”, però qui l’attività non si ferma. Dentro, al lavoro, i proprietari: Antonio Ligori e la compagna Mariangela Maselli. Lui di Cutrofiano, lei di Acquaviva delle Fonti; 40 e 39 anni. Tranquilli, non è la storia di Peter e Heidi.

“Sciacuddri” è il loro sogno, loro di Antonio e Mariangela. Non è detto che duri per sempre. Per ora va, ed è una poesia. «Sì, ma non dire che qui è rose e fiori, che va tutto bene e che stiamo una meraviglia. Sennò facciamo come quelle trasmissioni dove ci vanno gli sfigati e noi sfigati non siamo». Antonio ha metodi spicci, linguaggio asciutto, riferimenti pratici. La natura forgia i caratteri (è l’ufficio, semmai, che li deprime). Così in azienda non si perde tempo: anche se la gravidanza in fase avanzata del gregge consente una pausa, i ritmi in campagna sono un rito da officiare secondo le stagioni con devozione religiosa. Da metà novembre si ricomincia, il tempo di lasciare gli agnellini allattare per un mese dopo il parto. Poi si tornerà a mungere le pecore alle 4,30; a fare il formaggio alle 5,30; a portare gli animali al pascolo alle 9; a rientrare alle 15. «È un lavoro pesante, certo. Ma io ci credo. Mi porto il cellulare, le cuffie, la settimana enigmistica o un libro. Alla fine, due ore di tempo per me riesco a ritagliarmele».

Mariangela ha sguardo limpido, volto radioso. Sorveglia sorridente mentre lui parla e imbottisce il discorso di parole forbite, giacché qui la sapienza delle mani fa il paio con l’erudizione del cervello. E quando gesticola è con lo sguardo che rimarca il concetto. L’imprinting delle pecore, il paddock delle mucche, il vello del bestiame, il link tra allevatori… Fino al trionfo finale, the label, con cadenza salentina te leibol, l’etichetta. Per noi cresciuti con suoni simili, the book is on the table, come un brivido lungo la schiena. The brand is on the label. “Pecorino Sciacuddri”.

Gli occhialini alla Gramsci accentuano l’aria da intellettuale in affinamento nei campi. Pensiero e azione, anche se qui è un’altra giovane Italia, un altro giovane Sud. Lui ci ha provato a seguire un destino segnato: diploma di perito elettronico a Maglie, esperienze di lavoro al nord, in fabbrica. La campagna non è tradizione di famiglia, il padre era segretario in una scuola del posto. «Ma stare al chiuso, con un lavoro preordinato, quasi una catena di montaggio, non era affatto per me». Il ritorno è stato atto di coraggio. Ha rilevato un vecchio deposito di tabacco, qui dove un tempo era un’infinita distesa di piante; cento metri quadri in tutto; intorno ci ha coltivato l’orto. Era il 2004. Due anni per sbattere il muso, mercato difficile. Nel 2006 l’idea di svoltare con un piccolo allevamento di bestiame. Venti pecore sarde per partire. Poi l’incontro con Mariangela. Lei ha il diploma del Magistrale, esperienze di lavoro in agriturismo, «e quindi all’aria aperta, perché a me piace così», racconta. Si sono conosciuti in un pub, all’Istanbul Café di Squinzano. Visto? Non ci sono monti che sorridono, né caprette che fanno ciao. Se fosse, in un caso o nell’altro, il foraggio sarebbe di erba sospetta.

La casa ha cambiato aspetto. La parte abitata s’è ridotta a 45 metri quadri, gli altri 55 sono assorbiti dal caseificio. Progetti e finanziamenti hanno consentito di mettere su laboratorio e stalla. «Insieme con l’aiuto dei genitori», spiega Antonio. Lo Stato sociale implementato dal supporto familiare qui funziona ancora. A far somma anche una spedizione ad hoc in Svizzera mentre la burocrazia da queste parti seguiva i suoi ritmi, e cioè sonnecchiava: tre mesi di alpeggio a tremila metri di quota, bestiame pascolo formaggio senza mai un riposo, 180 euro al giorno, diciottomila netti alla fine, tutti riportati in Italia come il dio della provvidenza comanda e completamente investiti in azienda per il pane quotidiano. Ma quello che ora ne vien fuori non è formaggio svizzero. Cento litri di latte al giorno lavorati a crudo (perché Antonio e Mariangela sono i primi ispettori in attesa dell’Asl, che puntuale segue a ruota) diventano 20 chili di formaggio e quindici di ricotta. «Dentro ci trovi i profumi della nostra terra, perché le pecore sanno meglio di noi quali sono le erbe e le verdure buone», spiegano. Zanguni, cicureddhe e via con le altre prelibatezze che i bipedi si contendono palmo a palmo... E quando tutto secca, come in quest’estate al microonde, nella mangiatoia trovi barbabietole lavorate in pellet dopo l’estrazione dello zucchero. Tutto naturale, niente prodotti chimici. Da metà agosto produzione sospesa: il fermo biologico sono le pecore incinte. Qui non si compra materia prima da fuori. E ogni cosa è certificata. Perché se la neve bianca sembra latte di nuvola è chiaro che poi gli amici fanno mu mu, cip cip e be be (ed è chiaro che forse la neve bianca non è proprio latte di nuvola).

Quest’estate Antonio ha fatto da maestro in uno dei laboratori delle Notti Verdi di Castiglione, tripudio di agri-culture e biodiversità. “Sciacuddri” è nella Rete Salento Km 0, patto di lealtà che tiene dentro aziende, coltivatori diretti, associazioni, botteghe e Gruppi di acquisto solidale (la saggezza popolare conosce “Gas” salutari che nessun tubo potrà mai trasportare). Niente alchimie, rispetto del lavoro umano e custodia del paesaggio, la mission. Bello a dirsi, difficile a farsi. Ma si fa, volendo. Chi non vuole fa altro, stendiamo un “vello” pietoso. Domanda: ma è vera questa storia che le greggi diminuiscono, le erbe crescono e gli incendi galoppano? «Allora, intendiamoci: la maldicenza vuole che siano proprio i pastori ad appiccare gli incendi, così alle prime piogge spunta l’erba fresca. In parte è vero: ma chi lo fa padroneggia il fuoco, ripulisce le campagne e previene i veri disastri, né più né meno dei contadini. Per il resto, sì: le greggi, brucando, tengono bassa l’erba e, calpestando il terreno, creano dei veri e propri corridoi tagliafuoco. A volte ce lo chiedono espressamente. Come quando ci chiamano per i pascoli a raccolti ultimati: le pecore “tosano” i campi e li concimano pure, servizio completo con una sola passata. È il ciclo meraviglioso della natura. Noi siamo come le sentinelle dell’ambiente. I pastori si accorgono subito delle anomalie: uno sversamento di liquami, uno smaltimento illecito di rifiuti... Il resto attiene alla coscienza di ognuno. Voltarsi dall’altra parte o intervenire, dico».

Il torcicollo è patologia sempre in agguato, ma Antonio guarda dritto. Di suo ci aggiunge un apprendistato in Legambiente, con cursus honorum che l’ha portato dal ‘99 al 2003 a essere responsabile della rete regionale dei volontari. Anche questa un’esperienza messa a frutto in azienda. La casa, infatti, fa da ostello, giacché “Sciacuddri” è finita dritta in un’altra rete. Si chiama Wwoof, sta per World-wide opportunities on organic farms (Opportunità globali nelle fattorie biologiche): si viaggia nel mondo alla pari, seguendo i progetti rurali naturali. Ospitalità in cambio di lavoro. Una delle due stanze da letto della casetta di Antonio e Mariangela è destinata agli ospiti; bagno e cucina-tinello-salotto, invece, sono in comune. Una cinquantina i giovani passati da qui in cinque anni, tutti iscritti a Wwoof e tutti coperti da assicurazione. Un mese di soggiorno, in media. Dalla Corea, dagli States, dal Canada, dall’Australia. Persino dalle Hawaii. E altri ne arriveranno. «Per noi è difficile uscire, viaggiare - racconta Mariangela -, così è il mondo a venire da noi. Uno scambio di esperienze lavorative che è un incrocio di culture e un acceleratore di umanità». Un modo per superare la solitudine di cui ogni tanto parla Antonio: «Ci teniamo a fare le cose per bene. Eticamente e qualitativamente. Scelte che a volte ti tagliano fuori». Ma per fortuna i clienti crescono e si moltiplicano: al 30 agosto finite tutte le scorte di pecorino stagionato. Finite, purtroppo, anche per l’inatteso ospite, sia chiaro. Wwoof? No. Uff!!!

 
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