«Bene il piano “Industria 4.0”. Ma rischia di non bastare»

«Bene il piano “Industria 4.0”. Ma rischia di non bastare»
di Nicola QUARANTA
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Sabato 26 Novembre 2016, 07:34
«Basta con il Sud piagnone? Sono pienamente d'accordo. E basta anche con la caccia ai fantasmi. Il Sud è in queste condizioni per responsabilità che hanno nomi e cognomi”, afferma Federico Pirro, docente di Storia dell'Industria presso l'Università di Bari, puntando per prima cosa il dito contro l'apparato burocratico della Pubblica amministrazione e le resistenze campanilistiche della politica locale: «Il governo - afferma ad esempio Pirro - avrebbe voluto un' Autorità Portuale Unica per tutta la Puglia. Ma non è colpa del ministro Graziano Delrio se il progetto non è andato a buon fine. L'ostinazione palesata da Bari nel rivendicare l'Autorità portuale, nonostante abbia poche banchine e movimenta la metà di quanto non faccia da sola Brindisi, la dice lunga. Bari ci costringe ad avere due Authority distinte invece di un'unica multibanchina da Manfredonia a Brindisi. Un errore. Detto questo, il Sud è comunque una terra viva, come dimostrano i 53 contratti di sviluppo (su 73 complessivi) firmati nel Mezzogiorno. Non dimentichiamo, dunque, nonostante le criticità, i tanti punti di forza del Sud».

Ne vede pochi, in verità, Stefano De Rubertis, docente di Geografia economico-politica presso l'Università del Salento: «I modesti segnali di ripresa che pure sono presenti su scala nazionale appaiono insignificanti sul Mezzogiorno, sopratutto se allarghiamo lo sguardo all'Europa. Il Sud, dunque, oggi rappresenta la coda dell'Europa all' interno di un Paese in declino. Mi chiedete, giustamente, di essere ottimista. Ma con questi numeri e di fronte a questo scenario non ce la faccio. Le proiezioni al 2030 dicono che il Mezzogiorno sarà ancora più povero. Ma davvero pensate che possa salvarci da solo il piano “Industria 4.O”? Difficile affrontare la quarta rivoluzione industriale, avendo saltato le altre tre».

E l’impresa sarà ancora più difficile, sottolinea anche Andrea Amatucci (docente di Scienza delle finanze e diritto finanziario presso la Facoltà di Economia e Commercio dell' Università Federico II di Napoli) se continueranno a persistere condizioni di disuguaglianza nel campo della formazione delle nuove generazioni. Nel mirino le disparità tra gli atenei del Nord e del Sud. «Il ruolo dello Stato sancito dall'articolo 3 della Costituzione - spiega - è quello di rimuovere gli ostacoli alla mancata partecipazione di tutti i cittadini allo sviluppo economico. Invece lo Stato sta delegittimando le sue stesse regole fondamentali. E i dati fotografano un Mezzogiorno purtroppo ancora penalizzato dal piano di distribuzione delle risorse per le università”. Quindi l'appello: “Serve un piano di sviluppo veloce come avvenne all'indomani del secondo conflitto mondiale».

Ma la rivoluzione, ricorda Cesare Imbriani, è già iniziata: «Non servono politiche emergenziali ma strategie di sviluppo che consentano al Sud di salvarsi. E' vero, il Mezzogiorno purtroppo continua a pagare un doppio ritardo, interno (con il Nord) ed esterno (con i Paesi più sviluppati). Ma non sarà la governance europea che taglia i fondi e aumenta le diseguaglianze a salvarci. Se l'Italia avrà la forza di non farsi dettare ulteriori vincoli di bilancio e la capacità di investire, nel contempo, in processi di innovazione tecnologica, il Mezzogiorno e le aziende del Sud arriveranno ad essere essere competitive. Il piano “Industria 4.0” piace agli imprenditori, perché contiene misure che frenano la deindustrializzazione. È l'ultima chiamata e dobbiamo agganciarci».
 
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