Ormai nessuno, ma proprio nessuno nel Pd è disposto a spendere una parola buona per lui. Attorno a Ignazio Marino si è stesa una coltre, un recinto. Il sindaco è rimasto solo, letteralmente solo, chiuso nella sua stanza a esaminare ricevute e scontrini (e qualcuno giura di aver saputo che ce ne sarebbero altri di dubbio uso).
Finanche Matteo Orfini, il commissario romano nonché presidente del partito nonché guardia rossa e anche rossonera (calcisticamente parlando) del sindaco, l'avrebbe se non scaricato, comunque cominciato a prenderne le distanze. C'è chi lo ha sentito dire sconsolato «vi saluto, vado a occuparmi di scontrini», laddove qualche ora prima aveva dichiarato alla sua maniera «mi occupo di politica, non di scontrini». Raccontano pure che tra i due, Marino e Orfini, si sia consumata l'ultima partita, siano arrivati a un chiarimento nient'affatto pacifico ventiquattro ore prima. Insomma, ci sarebbe stata rottura. Orfini è stato riunito più volte con Lorenzo Guerini al Nazareno.
Presidente e vice segretario dem hanno esaminato la situazione, hanno valutato, soppesato, interpellato, si sono consultati, e alla fine hanno convenuto che una decisione, e nel giro di poco, bisognerà pure prenderla.
IL CALENDARIO
Il problema è più arduo e più politicamente complesso, dal punto di vista del Pd e delle prospettive rispetto alla Capitale. In pratica: puntare alle dimissioni immediate di Marino, oppure, causa e tramite Giubileo, puntare su dimissioni differite, in primavera? Non è tanto e solo una questione di tempi: nel primo caso, significherebbe che per il Campidoglio i cittadini verrebbero chiamati a votare a maggio assieme agli altri comuni come Milano e Torino, con il rischio per il Pd di pagare una gestione rivelatasi negativa per non dire catastrofica; nel secondo caso, il sindaco rimarrebbe tale fino a fine febbraio, in modo da far scattare il commissariamento che eviterebbe le elezioni in primavera. Sembrava quest'ultima, fino a poco fa, l'ipotesi più gettonata.
Ma via via che è passato il tempo, valutati i pro e i contro, valutato che anche il centrodestra non è che stia messo poi così bene, e valutato soprattutto che con Marino è difficile ormai, se non impossibile, andare a patti, figurarsi discutere una exit strategy, nel Pd si è fatta strada l'ipotesi del tutto e subito: puntare a elezioni in primavera. «Ma sì, a questo punto beviamo l'amaro calice, troviamo un buon candidato, lavoriamo bene e unitariamente, e puntiamo alle urne, non è detto che vada male», ragionano ormai apertamente alcuni deputati romani e non. «Deve decidere Renzi», si è limitato a far sapere Orfini a chi lo ha interpellato. Il quale Orfini avrà anche il suo problema di non finire sotto le macerie mariniane. Tra i dem romani c'è un'altra preoccupazione, se ne fa portavoce Melilli, l'ex segretario regionale: «Speriamo solo che Marino non se ne vada buttando la croce addosso al Pd, lui è imprevedibile». Nel Pd nazionale dicono che ormai «la partita è aperta».
Nel senso che non viene esclusa nessuna ipotesi. In un angolo del Transaltlantico di Montecitorio non è sfuggito il lungo colloquio tra Orfini, Guerini e la Bonaccorsi, quest'ultima mai tenera con Marino ma che adesso evita di affondare il coltello. «I fatti parlano da soli, chiunque può capire chi aveva visto giusto e chi no», si limita a dire Bonaccorsi. Lo scoglio in sostanza rimane sempre e solo lui, Marino. Al punto che in serata è pure girata voce che Renzi potrebbe ricorrere all'arma finale: andare in tv, o comunque dire pubblicamente una cosa del tipo Marino non ha nulla da spartire con il Pd. Né cacicco, né capo locale, né rais capitolino: nulla.