Loris, la mamma due volte al mulino. Il gip: «Può uccidere ancora»

Loris, la mamma due volte al mulino. Il gip: «Può uccidere ancora»
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Sabato 13 Dicembre 2014, 06:17 - Ultimo aggiornamento: 09:15

dal nostro inviato

Nino Cirillo

SANTA CRIOCE CAMERINA - Giusto un'ora prima che scadessero i termini, il giudice per le indagini preliminari di Ragusa Claudio Maggioni ha annunciato la sua decisione:

Veronica Panarello, 26 anni, casalinga, resta in carcere accusata di aver ucciso suo figlio Loris, un bambino di otto anni appena, strangolandolo la mattina del 29 novembre scorso. Il giudice Maggioni ha accolto senza nessun distinguo le richieste della Procura: è stato riconosciuto il «pericolo di fuga» della donna, è stata ritenuta sufficiente la mole di indizi che porta ad accusare Veronica di omicidio volontario «aggravato dal legame di parentela» e di occultamento di cadavere.

È una svolta.

Dopo due settimane di indagini, la prima vera svolta (anzi, ce n'è un'altra, una specie di sollievo: su Loris nessuna traccia di violenza). Hanno pesato le telecamere, certo, che smentiscono impietosamente il racconto della donna, che hanno fatto dire al gip: «Era dove non doveva essere». Lei quel figlio a scuola non l'ha mai accompagnato, anzi. L'ha visto tornare sui suoi passi e rientrare in casa, e ci è tornata lei stessa, diciassette minuti dopo, proprio nei momenti in cui secondo l'autopsia Loris sarebbe stato ucciso.

Hanno pesato, sicuramente, anche le deposizioni della madre e della sorella di Veronica, Carmela e Antonella, che non solo la descrivono come «aggressiva e violenta» fin da bambina, non solo sostengono che «non c'è con la testa», ma arrivano a considerarla apertamete colpevole quando, in una conversazione intercettata, realizzano che il Mulino Vecchio lei lo conosceva bene, che ci andava un giorno sì e l'altro pure, da bambina, a prendere l'acqua. Tanto da far dire, la madre alla sorella: «Ma non abbiamo colpa Linuzza, se questa è alienata...».

Ma più di tutti deve aver pesato, nella decisione del giudice Maggioni, l'ultima agghiacciante conclusione alla quale sono giunti gli investigatori. L'ordinanza del gip rivela infatti che quella mattina passò dalle parti del Mulino Vecchio non una, ma addirittura due volte. Lo dicono le telecamere del paese, che sembrano essere state messe apposta lì, a seguire la sua Polo nera.

Dicono che ci è passata una volta tra le 8.32 e le 8.49, probabilmente dopo aver accompagnato il figlio piccolo Diego all'asilo, e prima di rientrare in casa, dove presumibilmente doveva esserci Loris. E una seconda volta doppo le 9,25, in quei famosi nove minuti che avrebbero dovuto essere soltanto tre se si fosse ragionevolmente considerato il tragito fra una telecamer e l'altra.

Due volte, ma perché? Come per le fascette elettriche -con una di queste Loris è stato strangolato-, come per i telefonini, è tutto un oscuro gioco di rimandi. Un gioco attorno a due sacchetti di immondizia, uno abbandonato prima delle 8.49, almeno a seguire il racconto di Veronica («L'ho gettato sul ciglio della strada»), e l'altro dopo le 9.25. Due sacchetti che nessuno ha poi trovato, nonostante le prime richerce dei Carabinieri proprio sui cassonetti di Santa Croce si siano concentrate.

Nelle 106 pagine della sua ordinanza il giudice Maggioni ritiene ben concreto addirittura il rischio che Veronica Panarello possa uccidere ancora, che «l'indagata commetta gravi delitti con uso di mezzi di violenza personale», oltre il rischio di pericolo di fuga, certo, che già era uno dei pilastri del decreto di fermo.

Il provvedimento arriva a spiegare il sostanziale silenzio di questa madre: «È ragionevole ritenere che di fronte alla tragica situazione di un figlio di otto anni ucciso in modo così brutale, si rifiuti ostinatamente di raccontare la verità su fatti decisivi per la ricostruzione degli eventi, solo in quanto è lei stessa responsabile del grave delitto».

Affronta anche il delicato tema del movente, il giudice Maggioni, anzi, dell'assenza di un movente: «Non assume rilevanza», questa mancanza di movente, «sia perché in un processo indiziario l'accertamento del movente non è necessario per affermare la responsabilità sia perché nel prosieguo delle indagini possono essere scoperte le ragioni della condotta delittuosa».