L'intervista/Il ministro Bray
«Cultura e turismo
per un nuovo modello di sviluppo»

L'intervista/Il ministro Bray «Cultura e turismo per un nuovo modello di sviluppo»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Sabato 10 Agosto 2013, 23:07 - Ultimo aggiornamento: 1 Settembre, 18:05
LECCE - Massimo Bray, ministro dei Beni culturali e del Turismo: sbloccati i fondi europei, e il sistema dei beni culturali torna a respirare. Ora per bisogna rendere organico, stabile e duraturo il processo di valorizzazione del patrimonio storico-artistico italiano.

«Sono molto soddisfatto e fiducioso, abbiamo approvato due provvedimenti in pochi giorni. Il primo è il decreto “Valore cultura”, che ha segnato un elemento di scelta e cambiamento. Scelta perché il governo ha realmente creduto che il Paese debba mettere la cultura al centro delle sue strategie; e cambiamento perché ciò vuol dire leggere in modo differente i valori culturali e la necessità di valorizzarli. E ci sono sono state alcune priorità che abbiamo voluto evidenziare: Pompei, la riforma delle fondazioni sinfoniche, le forme per rispondere alla richiesta di occupazione dei giovani, la valorizzazione delle professionalità legate al mondo della cultura. Il secondo step è stato appunto lo sblocco dei fondi per quattro regioni del Sud: un segno importante di come facendo sistema e lavorando bene per obiettivi comuni, tra Stato ed enti locali, si riesce ottenere risultati. Sono più di 100 progetti, e sono molto contento che circa 50 siano per la Puglia. Tutto ciò vuol dire pensare al futuro: questo è un Paese che ha smesso di riflettere sul domani e di costruirlo. Senza dimenticare che non ci potrà mai più essere un piano di sviluppo che al centro non metta il Sud».

Arrivano le risorse, ma - come spesso succede - non c’è il rischio che i cantieri si incaglino nelle pieghe della burocrazia, delle inefficienze, nel rimpallo di responsabilità tra stazioni appaltanti? Come vi attrezzerete in tal senso?

«Sono grandi sfide, che credo vinceremo. Sta cambiando qualcosa, i cittadini lo vogliono. E ci sono gli strumenti per farlo, c’è una diversa valorizzazione delle professionalità nel mio ministero: sono moltissime, spesso sono state dimenticate, e chi aveva un ruolo di responsabilità in passato non sempre le ha ringraziate per il tanto lavoro fatto in silenzio. Ma conta fare sistema, dialogare con gli enti locali, e utilizzare rapidamente e per intero le risorse, anche per rispondere alle attese dell’Europa».

È chiaro che c’è un gap sistemico: l’Italia investe solo l’1,1% delle proprie risorse per tutelare i beni culturali.

«Ma questo governo, con il decreto “Valore cultura”, ha segnato un cambiamento forte rispetto agli anni dei tagli. Faccio sempre un esempio: quando sono arrivato al ministero ho trovato 40 milioni di euro di bollette da pagare, le risorse per le emergenze ridotte quasi a zero, e i fondi per la formazione del personale irrisorie. Il governo però ha inaugurato una fase di discontinuità, col premier Letta che ha difeso le nostre scelte e il ministro Saccomanni che ha preso l’impegno a recuperare le risorse. I beni culturali per l’Italia sono il bene più prezioso».

Già, ma in Puglia convivono due modelli di sviluppo spesso antitetici: l’industria e il binomio cultura-turismo. Ecco: lei come crede possano essere conciliabili le due istanze?

«La Puglia ha fatto moltissimo per la cultura: la Regione, le Province, le città che hanno creduto tanto nella cultura come volàno di crescita e occupazione. Il problema della Puglia è quello dell’intero Paese: crescere pensando a un modello di sviluppo differente, con un’inversione di tendenza, e valori e scelte differenti».

Banalizzando: gli itinerari paesaggistici ed enogastronomici possono convivere con l’Ilva?

«Ecco: la prima attenzione che dobbiamo avere è la difesa, sempre, di ambiente e salute. Non deve succedere mai quanto è successo. E dobbiamo capire che è doverosa una riflessione su come coniugare queste esigenze allo sviluppo economico. Proprio in tal senso, il modello di valorizzazione dei beni culturali è un antidoto importante, così come l’aver unito il turismo alla cultura».

Turismo come sistema di sviluppo trainante? Possibile, o azzardato?

«Dobbiamo impegnarci per un turismo consapevole, che da una parte consenta al visitatore di apprezzare i grandi tesori e monumenti, e dall’altra faccia in modo che ci sia un modello di crescita ragionato e non casuale. E anche su questo dovremmo adottare una serie di provvedimenti».

Quali?

«I “buoni vacanza” per aiutare le famiglie. Facilitare le esperienze di albergo diffuso, che rispettano e non violano il territorio. Una revisione della tassa di soggiorno, disomogena nel Paese ed eventualmente da trasformare in una tassa di scopo che favorisca chi con passione fa attività imprenditoriale. Agevolare il turismo ecosostenibile. Sono cose a cui stiamo lavorando, e dopo “valore cultura” mi piacerebbe un provvedimento su “valore turismo”».

La valorizzazione dei beni culturali anche con l’apporto di capitali privati, sul modello Colosseo-Della Valle? E come regolamenterebbe l’aiuto e l’ingresso degli imprenditori-mecenate?

«I beni culturali sono beni comuni, e il bene comune è un valore e come tale va letto e difeso. Lo Stato deve avere insieme agli enti locali il dovere di difendere il patrimonio e fare il massimo sforzo per valorizzarlo e tutelarlo. Il mio sogno è avere nel mio ministero una direzione per la tutela del patrimonio storico e artistico, che non c’è mai stata. Ora ci daremo delle regole per gestire il contributo dei privati, ci sta lavorando una commissione da me varata: in questo modo ogni volta che il privato condivide delle linee d’indirizzo, potrà partecipare».

Ministro, questo governo deve restare in vita? E a quali condizioni?

«Beh, deve continuare perché deve dare al ministro dei Beni culturali la possibilità di portare avanti la tutela del patrimonio e la valorizzazione del turismo... A parte questo, dobbiamo impegnarci tanto nella creazione di posti di lavoro, per dare una risposta all’emergenza. Questo governo deve andare avanti».

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