«Io, romano emigrato a Bruxelles, insegno ai miei figli a difendere la nostra libertà»

«Io, romano emigrato a Bruxelles, insegno ai miei figli a difendere la nostra libertà»
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Martedì 24 Novembre 2015, 09:11 - Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 18:10
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di ​Vittorio Vitiello, un romano che da gennaio si è trasferito con la sua famiglia a Bruxelles e che ora si trova a vivere in una città blindata con la ferma volontà di non rinunciare alla libertà di viverla insieme alla sua compagna e ai suoi tre bambini.



Caro Messaggero,



l’ultima volta che ho avuto il piacere di scrivervi ero un cittadino romano nauseato dall’ennesimo furto in appartamento subito e che auspicava di avere la possibilità di andare a vivere all’estero insieme alla mia compagna e ai nostri tre bambini. Effettivamente le circostanza della vita ci hanno portato a vivere dallo scorso gennaio in quel di Bruxelles, ed è da qui che vi invio questa missiva.



Sono giorni difficili per noi e i nostri concittadini; io qui faccio il papà a tempo pieno mentre la mia compagna lavora e provvede al nostro sostentamento. Quindi la mia giornata scorre tra la cura dei bambini (hanno 8, 5 e 2 anni) e le altre attività casalinghe e di gestione familiare. Ora mi trovo davanti ad una situazione impensabile sino a pochi giorni or sono, con una minaccia terroristica concreta da considerare, e soprattutto difficile da spiegare ai bambini (ai quali già a Roma avevamo dovuto spiegare il concetto di ladro visto che anche molti dei loro vestiti e giocattoli erano stati trafugati).



Le scuole, gli asili nido e anche la maggior parte degli uffici saranno chiusi domani, e nei prossimi giorni ancora non si sa. Mio figlio grande a cena ci ha chiesto: “ma i terroristi possono venire qui da noi?” Abbiamo cercato di spiegargli che gli obiettivi dei terroristi sono i posti affollati dove possono fare male a un grande numero di persone. Il loro obbiettivo è “terrorizzare” le persone e costringerle a cambiare la vita che sono soliti fare. Soprattutto li abbiamo incoraggiati a farci domande e a parlarne. “Però amore, non ti preoccupare che a casa non vengono e nemmeno a scuola.”



Certo anche noi genitori avremo bisogno di informarci e di capire quali siano i modi più corretti per affrontare questi argomenti con i figli, per altro ancora molto piccoli. Ho sentito molto parlare in questi giorni riguardo la possibilità di abituarsi a vivere come a Tel Aviv, di convivere quotidianamente con la paura sin dalla mattina quando mettiamo i nostri figli sul bus che li porta a scuola. Non so onestamente cosa pensare, da un lato mi sembra ancora impossibile, dall’altro la paura effettivamente comincia a farsi strada.



La scuola dei mie figli è una scuola internazionale, organizzatissima e dove le misure di sicurezza sono state innalzate già dopo i fatti di Parigi. La nostra casa si trova esattamente al centro delle zone la cui frequentazione è stata sconsigliata dalla polizia in questo fine settimana. Però noi ci sentiamo di non dargliela vinta ai terroristi, di non cedere alla paura. Oggi siamo usciti tutti insieme, abbiamo portato una palla e con altri amichetti siamo andati a giocare nel parco del cinquantenario, proprio dietro la sede della commissione Europea.



Difficile prevedere come sarà la vita nei prossimi giorni, nei prossimi mesi. Già l’emergenza profughi, che anche qui abbiamo affrontato, aiutando e offrendo anche la nostra disponibilità ad ospitarne a casa, è stata ed è una prova difficile a livello familiare. Far capire ai piccoli che esistono persone più sfortunate che hanno bisogno del nostro aiuto. Una sola certezza però io e la mia compagna la abbiamo. Ci viene dalla nostra formazione culturale, dalla storia che ci è stata tramandata dai nostri genitori e soprattutto dai nostri nonni che hanno vissuto l’orrore della guerra e hanno combattuto e magari sacrificato la vita per opporsi a dei regimi totalitari: saremmo capaci di abituarci a vivere in una situazione come Tel Aviv se necessario, magari rinunciando ad alcune cose in nome della sicurezza comune; mai invece potremmo accettare di vivere come a Raqqa, in uno stato totalitario e nazista. Mai potremmo rinunciare alla nostra liberta e al nostro modo di vivere. Per questo saremmo disposti a combattere.



Vittorio Vitiello