L'autore della strage di Fiumicino: «Un attentato al Vaticano non conviene ai terroristi»

L'autore della strage di Fiumicino: «Un attentato al Vaticano non conviene ai terroristi»
di Paola Vuolo
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Domenica 18 Gennaio 2015, 05:52 - Ultimo aggiornamento: 10:10
«Attaccare il Vaticano sarebbe un grandissimo sbaglio. Una carneficina nello Stato che è il simbolo della cristianità nel mondo isolerebbe i terroristi dell'Isis, e loro invece hanno bisogno di appoggi e finanziamenti».



Seduto accanto alla vetrata di un bar alla stazione Termini Ibrahim Khaled, 47 anni, guarda in continuazione l'orologio, ha un treno da prendere per tornare a casa, ma non vuole dare l'impressione di avere fretta. Gli sembra maleducato. Quest'uomo dai modi gentili e l'aria riservata è l'unico sopravvissuto dei quattro terroristi che la mattina del 27 dicembre 1985, portarono la guerra a Roma assaltando a colpi di kalasnhikov il banco delle linee aeree israeliane all'aeroporto di Fiumicino, 13 morti e oltre ottanta feriti. Khaled faceva parte del gruppo di Abu Nidal, il leader della lotta armata palestinese: «Ci penso a quei morti. Ci penserò sempre, ho bruciato le loro vite, ma anche la mia».





I servizi segreti hanno avvertito il Vaticano che potrebbe essere il prossimo bersaglio dello Stato Islamico. Dopo Parigi Roma, lo ritiene possibile?

«Minacciare un attacco di fuoco alla Santa Sede è una notizia mondiale e questo fa gioco ai terroristi, è propaganda. Roma rappresenta la cristianità, ma non è un obiettivo davvero strategico, almeno in questo momento storico perché la politica estera italiana non svolge un ruolo così importante. Questo però non significa che la capitale è al sicuro. Il vero pericolo sono i gruppi isolati, i lupi solitari, gente incontrollabile capace di commettere attentati imprevedibili. Da quello che ho letto e sentito in televisione gli investigatori non hanno ancora ricostruito con certezza a quale gruppo apparteneva Coulibaly, il fondamentalista che ha ucciso i quattro ostaggi ebrei nel negozio kosher a Parigi. Sì, c'è un video dove lui dice di appartenere all'Isis, ma ancora gli esperti dell'antiterrorismo non hanno nessun'altra traccia dei suoi legami con i miliziani del califfato che combattono in Siria e in Iraq. Di certo gli attentati di Parigi sono stati pianificati da Coulibaly e dai fratelli Kouachi, forse ci sono altri complici, ma l'Isis non ha un'organizzazione verticistica».



Vuol dire che la vera minaccia sono i lupi solitari?

«Mi sembra di sì».



A Roma l'attenzione è altissima, sono stati rafforzati i controlli in tutti i luoghi ritenuti a rischio.

«Questo va bene per l'ordine pubblico, ma non basta a sventare eventuali attentati. Anche perché i piccoli gruppi jihadisti o i lupi solitari non necessariamente puntano agli obiettivi ritenuti simbolici. Possono fare irruzione anche in un supermercato all'ora di punta, dove magari la sorveglianza non è così serrata. Un modo per prevenire questo genere di attacchi dovrebbe arrivare dai responsabili delle comunità religiose. Quando arrivi in un paese straniero e vieni abbandonato dalla tua comunità è facile cadere nel fanatismo religioso. Il terrorismo è una sciagura culturale, si basa sulla frustrazione. Combattere la guerra santa, sentirsi parte di un progetto può diventare una specie di rivincita per chi non ha ancora una identità. Ecco perché i responsabili delle comunità dovrebbero seguire i loro figli, e collaborare con l'intelligence per segnalare i comportamenti strani di qualcuno. Questa potrebbe diventare una vera rete di protezione per la città».



Khaled come è adesso la sua vita?

«Cerco di vivere in pace con tutti, quasi nessuno sa chi sono davvero, questo mi aiuta molto. Ho anche un lavoro nella coperativa di Salvatore Buzzi, la ”29 giugno”, ma dopo lo scandalo di Mafia Capitale rischio di diventare un disoccupato insieme ad altre 1.300 persone. Speriamo che non chiuda».