Atene appesa alle promesse di Alexis
«Ma dove prenderà i soldi per noi?»

Atene appesa alle promesse di Alexis «Ma dove prenderà i soldi per noi?»
di Mario Ajello
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Venerdì 23 Gennaio 2015, 23:26 - Ultimo aggiornamento: 24 Gennaio, 00:17
ATENE Sarà il nuovo Chavez o il nuovo Lula? Sará l'ennesimo retore della sinistra dell'anima che dipinge di pauperismo la povertà, come ha fatto il leader venezuelano, oppure Alexis Tsipras - che promette sviluppo contro austerità e sta per vincere nella Grecia al collasso - saprà trasformarsi da agitatore a statista come è accaduto al presidente brasiliano che ha rimesso in pista il suo grande Paese? Dietro alla scrivania del vincitore annunciato delle elezioni di domani, nel suo immenso studio dentro la sede del Parlamento greco - mentre fuori, davanti al museo archeologico, c'è un supermercato con i banconi della merce scaduta che costa meno ed è la più appetita dagli ateniesi sull’orlo del default - troneggia un quadro che sprigiona fiamme in tutte le sfumature di rosso.

I SONDAGGI E l'eccitazione da conquista - i sondaggi danno Syriza tra il 36 e il 38 per cento, ovvero la possibilità al partito di Tsipras di governare da solo - contrasta con i toni crepuscolari o neorealistici del bianco e nero di questa città che raccontano la disillusione dei greci che ora si affidano alla sinistra radicale più nazionalista che europeista per andare avanti ma anche per tornare almeno un po’ alle rassicurazioni di quello Stato-mamma che un po’ lí cullava e un po’ li affondava. Ed ecco infatti la tendopoli delle donne delle pulizie licenziate dal ministero dell’economia - nell'ambito della riduzione di 14mila posti di dipendenti pubblici chiesta al governo uscente dalla Ue, dalla Bce e dal Fondo monetario - che si sono piazzate sotto il dicastero giorno e notte tra minestroni, striscioni sdruciti che inneggiano a Che Guevara e slogan che sembrano tratti dai film di Ken Loach.



Nelle mense popolari nei quartieri di periferia, come quello dove spopolano i nazisti di Alba Dorata in mezzo ai pachistani e ai derelitti ateniesi, e nelle farmacie sociali allestite anche in centro dai partiti e dalle parrocchie, si racconta di come, secondo il programma di Syriza, il nuovo premier darà elettricità e riscaldamento gratuiti a 330.000 famiglie (non poche su una popolazione di appena undici milioni) e creerà 300.000 nuovi posti di lavoro anche riassumendo novemila dipendenti pubblici licenziati in ossequio alla Troika ma soprattutto alle esigenze draconiane di responsabilità. E ci risiamo: ora arriverà un Chavez o un Lula sul Partenone? Un venditore ambulante di pupazzetti ellenici, ai piedi dell’Acropoli, cerca di rifilare un Socrate made in Taiwan ma qualcosa deve avere imparato da quell’antico filosofo e spiega: «Tsipras avrà la maggioranza. I greci amano credere ai sogni ma dove li prenderà i soldi?».



Dalla rinegoziazione, con la Merkel e con i Paesi creditori, del debito: così assicura Alexis il Grande. E su questo c'è mezza Europa che tifa per lui. Mentre frau Angela non ripete più il suo mantra di quando venne in visita ad Atene e annunció: «Non incontrerò Tsipras perché è un piantagrane». Ora è cambiata lei, ma é cambiato anche lui e da allora è cambiato tutto in un Paese che comunque nella sua capitale ospita scenette come questa, lungo la centralissima via Ermou: file di persone ai bancomat, che prendono i soldi e dicono «non si sa mai».



Temendo l'improbabile, cioè che il governo Tsipras possa mettere le mani nei conti correnti. Cosa che non farebbe mai un nazionalista-populista, qual è il leader che in Italia viene ritenuto alternativo quasi fosse un Civati o il Vendola che non è (l'ingegner Tsipras girava insieme agli amici della sua scuola privata con il gippone Cayenne, prima di diventare un mito semi-rivoluzionario pur restando figlio di un costruttore edile da Atene pariolina). Un compromesso per ridefinire il debito, in linea con la nouvelle vague dell’Europa anche italiana che cerca fiato rispetto all'ideologia dei parametri alla tedesca, sembra la via più probabile dopo la vittoria di Syriza (ma occhio all'11 per cento di indecisi che potrebbero modificare le previsioni della vigilia) e dopo la fine di ogni ipotesi di “grexit”, l'uscita della Grecia dall’euro.



L’USCITA DALL’EURO Che non ci sarà perché il 70 per cento dei greci non la vogliono pur non sentendosi particolarmente europeisti e ritenendo colpevoli gli altri di un rapporto tra deficit e pil di quasi il 180 per cento. Non basta cantare Bella ciao, come fanno Tsipras e i suoi, per raddrizzare la situazione, ma di sicuro l'Europa che non vuole solo rigore ma anche flessibilità, il continente che non intende morire tedesco guarda ad Atene come a un rompighiaccio, come a una possibilità. Lo stesso Renzi non è Tsipras (i vetero-sindacalisti ex Pasok che sono con lui e lo condizioneranno il premier italiano li avrebbe rottamati con più forza di quanto ha fatto con Cofferati) ma capisce tutta l’utilità del compagno Alexis.



Il quale ha consiglieri economici che evidentemente non gli vogliono bene: «Se non sai che cosa fare, chiediti che cosa avrebbe fatto Chavez al tuo posto», gli dicono.
E non per spingerlo a fare il contrario del presidente simil-sandinista. In una nazione in cui un rigorismo conservatore alla Mario Monti ha sbagliato tutto, e in cui si vede nelle vie di quel che resta dello shopping ateniese un ambulante che espone un cartello tra il poetico e il disperato con su scritto: «Io sono orgoglioso della mia povertà. Voi no, è vero?». E c’è chi di fronte a lui, per rabbia e non per nazismo, domani va a votare per Alba Dorata e chi, non per ideologia ma per scommessa, prova ad affidarsi alla strana compagnia di Syriza. Magari rimpiangendo i tempi in cui si poteva sperare in Zeus.
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