Oltre il risultato/ Catalogna, uno schiaffo con messaggio all’Europa

di Alessandro Campi
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Domenica 27 Settembre 2015, 23:20 - Ultimo aggiornamento: 23:57
Artur Mas, presidente uscente (dopo tre mandati) della Generalitat de Catalunya, ha cercato lo scontro politico definitivo con il governo di Madrid e a quanto pare l’ha vinto.

Dopo il referendum del novembre 2014, vinto anche quello ma dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale (e comunque avevano votato solo due milioni di elettori sui cinque e mezzo di aventi diritto), ha trasformato le elezioni per il rinnovo del Parlamento catalano, dunque un banale appuntamento amministrativo, in un referendum popolare per l’indipendenza e gli elettori l’hanno seguito in massa.



Stando agli exit poll, “Junts pel Sí” (Assieme per il sì), la coalizione composta dagli indipendentisti di destra e di sinistra, ha ottenuto la maggioranza schiacciante dei seggi, anche se forse non ha avuto la maggioranza assoluta dei consensi (pur essendo arrivata intorno al 50 per cento). C’è solo da sperare, per la tranquillità e la buona nomea del commentatore, che i dati finali non sovvertano radicalmente queste indicazioni, come accade ormai regolarmente in Italia ad ogni consultazione.



L’aumento percentuale dei votanti (un più 7%) - in particolare nelle zone che nelle precedenti consultazioni avevano votato di preferenza per i partiti contrari all’indipendenza - aveva fatto immaginare un recupero del fronte “unionista”. In Catalogna, su una popolazione di quasi sette milioni e mezzo di abitanti, vive oltre un milione di non catalani d'origine, per definizione poco sensibili ai richiami identitari, alla retorica del “catalanismo” e forse persino spaventati dalla prospettiva di un distacco traumatico dalla Spagna, ma il loro voto evidentemente non è bastato a frenare l’onda autonomista.



Così come non sono serviti i molti appelli a favore dell’unità e gli allarmi veri e propri che negli ultimi giorni sono venuti da numerosi ambienti. I vertici delle principali banche spagnole, dopo un lungo silenzio, hanno paventato il rischio di file agli sportelli e di una miseria generalizzata in caso di vittoria dei fautori del “Sì”. Importanti esponenti della politica internazionale - dalla Merkel ad Obama a Sarkozy - hanno fatto capire che un voto a favore dell’indipendenza avrebbe significato, in prospettiva, l'uscita dall’euro e dunque il rischio di una crisi delle attività economiche. Dopo l’esempio della Grecia, dove Tsipras ha vinto anche per una forma di orgoglio patriottico, bisognerebbe aver capito che queste ingerenze e pressioni sono sempre meno gradite dai cittadini e finiscono per produrre un effetto contrario a quello desiderato.



La domanda a questo punto è se Mas - presentato da alcuni come un pericoloso demagogo e un opportunista convertitosi al nazionalismo per nascondere i fallimenti della sua azione politica - riuscirà davvero a mantenere la promessa, fatta in campagna elettorale, di portare la Catalogna all’indipendenza nell’arco di diciotto mesi. Come farà a superare gli impedimenti d’ordine costituzionale senza scivolare nell’illegalità e senza aprire un contenzioso politico-giuridico che potrebbe alla fine non controllare più nei suoi effetti? La Costituzione spagnola non contempla il diritto all’autodeterminazione delle comunità autonome che compongono lo Stato spagnolo. E c’è un articolo, il 155, che prevede una sorta di “stato d’eccezione” nel caso una comunità “non adempia agli obblighi impostile dalla Costituzione o da altre leggi” o “agisca in modo da attentare gravemente all’interesse della Spagna”.



Quello che molti sperano, visto che dopotutto Mas è un politico di lunga esperienza, un tempo su posizione moderate e che in passato più volte ha perseguito la strada del dialogo, è che l’obiettivo estremo della secessione, sbandierato per tutta la campagna elettorale, in realtà nasconda la volontà di trattare col governo centrale, da posizioni di forza, uno status di maggiore autonomia (ad esempio in materia di fiscalità e di investimenti pubblici). Anche se c’è il rischio che stavolta ci si sia spinti troppo oltre sulla strada che dovrebbe portare alla nascita dello Stato-nazione di Catalogna per poter tornare indietro nel nome del pragmatismo e del buon senso.

L’esistenza di spazi politici perché l’autodeterminazione catalana si esprima ancora all’interno del quadro statale spagnolo dipende, a questo punto, dall’atteggiamento che terrà Madrid. Se davvero si vuole dipingere Mas come un politico spregiudicato, che non si cura delle conseguenze delle sue parole e che ha pensato di gettare sulla voracità del governo nazionale la responsabilità dei tagli sulla spesa pubblica che in questi anni di crisi economica anche il governo della Catalogna ha dovuto operare, bisogna al tempo stesso descrivere il popolare Mariano Rajoy, che guida la Spagna dal dicembre 2011, come un politico miope e di scarse vedute.



La sua intransigenza formalistica sulla richiesta di referendum popolare da parte della Catalogna, come anche i contenziosi costituzionali sullo Statuto di quest’ultima, sono stati decisamente un errore politico. Che ad esempio non è stato commesso - in una situazione per molti versi simile - dal conservatore David Cameron allorché lo Scottish National Party, dopo la vittoria elettorale per il Parlamento di Edimburgo ottenuta nel 2011, giocò col governo di Londra la carta di un pronunciamento popolare sul futuro politico della Scozia. I problemi legali e costituzionali che un referendum di questa natura poneva al governo inglese furono affrontati e superati. Gli scozzesi non videro negato il loro diritto a pronunciarsi democraticamente, si evitò in questo modo di esasperare la propaganda nazionalista (come invece è accaduto nel caso catalano) e il risultato fu, il 18 settembre 2014, quello che tutti ricordano: la vittoria dei contrari all’indipendenza con una maggioranza schiacciante del 55,3%. Madrid, alla luce del risultato di ieri, cambierà passo e strategia o continuerà nel muro contro muro che rischia di portare alla rottura?



C’è un’ultima riflessione che la vittoria degli indipendentisti catalani sollecita e che va oltre i confini spagnoli. Lo svuotamento delle sovranità statali - delegittimate alla stregua di un anacronismo storico - è stata spesso giustificato dai fanatici dell’europeismo con l’argomento che così si sarebbero favorite la nascita di una coscienza unitaria del continente e di una cittadinanza finalmente post-nazionale. Ma ciò a cui assistiamo da alcuni anni, in molti Paesi europei, è invece la diffusione di forme di rivendicazione politica nel segno del micro-nazionalismo e del particolarismo territoriale (spesso declinato in chiave etnica). Tra i fallimenti dell’Europa e gli effetti perversi prodotti dalle sue ineffabili élites un giorno metteremo anche questo ritorno delle “piccole patrie”, foriero di anarchia internazionale, che i più ottimisti provano persino a spacciare come vittoria del principio di autodeterminazione e della volontà sovrana dei popoli.