Maraini: in Italia la società cambia sempre prima delle leggi

Maraini: in Italia la società cambia sempre prima delle leggi
di Rita Sala
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Martedì 13 Maggio 2014, 05:46 - Ultimo aggiornamento: 15:18
In Italia non ci smentiamo mai. Le leggi arrivano sempre in ritardo, il pi delle volte per sancire cambiamenti e rivolgimenti già avvenuti da un pezzo».



Dacia Maraini, scrittrice, da sempre attenta alle battaglie civili, ricorda il 1974, quando il referendum abrogativo, meglio conosciuto come referendum sul divorzio, chiamò gli italiani a decidere se abrogare la legge Fortuna-Baslini che istituiva il divorzio nel nostro Paese.

Partecipò al voto l'87,7% degli aventi diritto, votarono no il 59,3%, mentre i sì furono il 40,7%. La legge sul divorzio rimase in vigore.



Che Italia era, quella di quarant'anni fa?

«Un Paese che, sul tema famiglia, era mutato ormai da tempo. Un'Italia matura, maturissima anzi. Un mare di situazioni di fatto, famiglie in cui il concetto del matrimonio infrangibile era tramontato da anni, sorpassato dai fatti, vissero l'affermazione della legge con un sospiro di sollievo. Finalmente si sarebbero sanate moltissime realtà scomode».



Nonostante la forte presenza della Chiesa, lei afferma che la famiglia italiana era già cambiata da un pezzo?

«Certamente sì. Il famoso “contratto sociale”, che sigillava per sempre l'unione di un uomo e di una donna, era decaduto, come idea e come pratica, da almeno un decennio. Negli anni Sessanta era cominciato lo sfaldamento del monolito, poi il colpo di grazia lo aveva dato il Sessantotto, procurando mutamenti davvero più profondi».

Come accolsero il divorzio le donne, molte delle quali, allora, non lavoravano, non occupavano una posizione professionale nella società produttiva?

«Benissimo. In una prima ondata di divorzi, se non ricordo male, furono più le donne che gli uomini a chiedere di tagliare definitivamente un rapporto che non apparteneva più al loro vissuto. Ribadisco: il decennio Sessanta-Settanta aveva sancito il tramonto dalla famiglia patriarcale, nelle quale si concepiva persino come inevitabile che dopo anni di matrimonio l'uomo di casa avesse un'amante e vivesse il rapporto con lei senza disfare quello coniugale».



Le reazioni dei conservatori e dei cattolici le ricorda veementi?

«Ricordo un discorso di Amintore Fanfani, se non sbaglio alla radio, in cui il divorzio era descritto come una catastrofe, un elemento distruttivo che avrebbe mandato in pezzi l'istituzione cardine del Paese. Non successe niente di tutto questo».



Le donne più legate alla tradizione si sentirono, in un certo senso, meno tutelate?

«Indubbiamente sì. Quelle che stavano in casa con i figli e dipendevano in tutto e per tutto dal marito, pensarono al futuro senza coniuge, in caso di divorzio, con terrore. Si videro, in prospettiva, sole, senza difesa, rifiutate. Senza contare che già allora, in caso di separazione, le decisioni dei giudici in materia economica venivano spesso disattese. I soldi del marito e padre, insomma, non arrivavano o arrivavano con discontinuità. Né più né meno come accade ancora oggi, in un'Italia che parla solo ora di divorzio breve, con grave ritardo rispetto ai tempi in cui avrebbe dovuto farlo».