Nessun dubbio per la Direzione distrettuale antimafia: a Trepuzzi, San Pietro Vernotico e comuni limitrofi sarebbe stata attiva una frangia della Scu con almeno due articolazioni e due capi.
È per questa ragione che il pm Carmen Ruggiero ha impugnato il rigetto del gip, Sergio Mario Tosi, rispetto al primo capo d’accusa della richiesta di misura cautelare, ossia l’associazione di stampo mafioso.
L'accusa insiste sulla propria ricostruzione dei fatti
L’accusa invoca gli arresti, ma soprattutto insiste sulla propria ricostruzione dei fatti, che trae origine dalle dichiarazioni dei pentiti.
Si parla del blitz di martedì, quando 14 persone sono state portate in carcere dai poliziotti della Squadra mobile di Brindisi che hanno condotto indagini al confine di provincia tra Brindisi e Lecce.
Le armi: il mitragliatore israeliano
Nel corso delle indagini è stato operato il sequestro di un fucile mitragliatore israeliano di tipo Imi Uzi, con due caricatori (10 proiettili cal. 9x21, 1 proiettile calibro 9 luger e 1 proiettile calibro 7.65 parabellum) in possesso di Massimiliano Renna, che l’avrebbe custodito nell’interesse del gruppo di riferimento. Tra le armi in possesso dell’associazione risultano esserci anche una pistola Colt automatica con matricola abrasa e due caricatori, una pistola calibro 7 e una pistola calibro 38 a canna corta oltre ad altro esplosivo, tutto nascosto in luoghi sperduti per evitare che venisse scoperto nel corso delle perquisizioni.
Resta la convinzione di investigatori e Dda che i territori in questione sarebbero sottoposti al controllo di frange storiche della Sacra Corona Unita che interagirebbero tra loro nella gestione dei traffici. In virtù di accordi, assunti anche in carcere, e di incarichi conferiti. Ma anche in considerazione di quanto emerge dalle intercettazioni. E cioè che parte dei proventi dell’attività di vendita di cocaina, e delle altre tipologie di sostanza, servissero a raccogliere il “punto” per il sostentamento dei detenuti. Attività tipica delle organizzazioni di stampo mafioso. Perrone, a capo dell’intera organizzazione, una volta scarcerato nel 2020, avrebbe imposto il prezzo dello stupefacente da lui rifornito in modo pressoché esclusivo. Tra i canali di approvvigionamento, quelli calabresi, fasanesi e lucani. E sarebbe intervenuto, anche attraverso i suoi “luogotenenti” a limitare e sanzionare chiunque si fosse rivolto ad altri per rifornire la piazza.